Ci sono colonne sonore che, più di altre, hanno segnato la storia e la tradizione dell’immaginario filmico e della Settima Arte. Sono quelle dei grandi classici musicali del cinema Hollywoodiano, da “La Pantera Rosa” e “Colazione da Tiffany”, dalle intramontabili atmosfere western de “I Magnifici sette” a quelle di “Ombre rosse”, dal fascino di “West Side Story” al fantastico viaggio di Dorothy nel regno di Oz, passando per le avventure di Indiana Jones, l’epica sportiva di Abrahams e Liddell, le guerre intergalattiche nel mondo di “Star Wars”, la sortita terrestre di E.T. e gli spasimi d’amore di “Via col vento” nell’America della guerra civile. Di seguito un rapido viaggio tra le note del grande cinema attraverso i brani più celebri di sempre.
1. Momenti di gloria – Chariots of Fire (musica di Vangelis, arrangiamento J. Reisman, Boston Pops Orchestra, direttore John Williams). Muscoli tesi nello spasimo, una smorfia sul viso, sudore e fatica. Nella regia di Hugh Hudson del 1981, l’essenza della corsa concentrata in pochi secondi, addirittura in pochi attimi, però dilatati dal ritmo del montaggio, moltiplicati dalla macchina da prese. All’Olimpiade del 1924, a Parigi, Harold Abrahams vince la medaglia d’oro nei cento metri ed Eric Liddell quella dei quattrocento. Sono entrambi inglesi, ma di serie B: l’uno ebreo, l’altro scozzese. Esplodono gli ottoni e gli archi in una musica di trionfo. Sapori d’Inghilterra d’anteguerra, di College austeri, di vecchia nobiltà e di antiche divisioni di casta e di razza.
2. Balla coi lupi (musica di John Barry, Hollywood Bowl Orchestra, direttore John Mauceri). Non è solo un’elegia, malgrado il tema conduttore sia il West crudele e affascinante. Ma forse è proprio un’elegia: alla natura incontaminata, agli spazi sconfinati, agli animali, a un popolo – quello dei pellerossa – sterminato da una civiltà vorace e distruttiva. L’ufficiale di cavalleria John Dunbar, mandato in un avamposto deserto, si scopre a riflettere sul mondo circostante e a guardarlo con occhi nuovi. Gli indiani Dakotas lo chiamano ‘Balla coi lupi’. Lui diventa quasi uno di loro, impara la loro lingua, e combatte con loro. E Kevin Costner – regista e interprete – trova anche l’amore. Un’elegia, appunto.
3. Scandalo al sole (musica di Max Steiner, testo di Mack Discant, London Festival Orchestra, Stanley Black). Si innamorano durante una vacanza, e contemporaneamente scoprono che anche il padre di lei e la madre di lui avevano avuto una storia, ma poi si erano lasciati per matrimoni di convenienza. Matrimoni falliti. Adesso – galeotti i figli – possono rimediare. Non è mai troppo tardi. Piccole tempeste in un bicchiere, e vicenda mielosa, anche se la messa in scena di Delmer Daves del ’59 con Richard Egan, Dorothy McGuire e Sandra Dee, risulta di alto artigianato. Ma batta un colpo chi – ormai da ben più di trent’anni – non ha nell’orecchio il motivo musicale del film, magari senza saperne l’origine. Più che un tema conduttore, una musica ‘da mattonella’, soprattutto per gli ‘antichi’ giovani ‘romantici’ dei primi anni sessanta.
4. E.T. L’Extraterrestre (musica di John Williams, Hollywood Bowl Orchestra, direttore John Mauceri). Le biciclette si alzano sopra le case, le strade, i prati. Nel film di Steven Spielberg del 1982, le biciclette volano sull’onda della musica. Pedalare nell’aria. Ragazzi esterrefatti e felici. È magia o scienza d’altri mondi? Semplicemente, con gli effetti speciali di Carlo Rambaldi, Dennis Muren e Steve Townsend, in canna c’è E.T., il piccolo extra-terrestre dalla faccia triste, venuto dalle galassie. ‘Telefono casa’: gli bastano quattro fili e qualche scoria del sottoscala per costruite un apparecchio interstellare. Nostalgia del cosmo, dei genitori ‘alieni’, insomma, del proprio pianeta lontano. E poi anche lui è un bambino dagli occhi sbarrati. Meno male che su questa Terra estranea ha incontrato altri bambini – Henry Thomas, Robert MacNaughton e Drew Barrymore – che non mostrano nessuna paura per un mondo ‘diverso’.
5. Twentieth Century Fox Fanfare (musiche di A. Newman, Hollywood Bowl Orchestra, direttore John Mauceri). Dagli anni trenta agli anni Cinquanta la produzione americana fu completamente dominata da un ristretto numero di compagnie hollywoodiane: la Paramount, la MGM, la Warner Brothers, la 20th Century-Fox e Rko Radio, altrimenti note come ‘majors’. Intanto Darryl F. Zanuck, dopo aver lasciato la Warner in conseguenza dei cattivi rapporti con Jack Warner, riuscì a convincere il finanziere Joe Schenck a fornirgli i capitali per fondare una nuova casa cinematografica. Zanuck aveva fatto la gavetta come sceneggiatore; a lui si deve il lancio di film gangster e di musical che portarono la Warner al successo dopo la grande rinomanza acquisita grazia al sonora Vitaphone. Inizialmente la 20th Century si limitò a produrre film – distribuiti dalla United Artists – ma nel 1935, dopo la fusione con la traballante Fox Film Corporation, cominciò a girare i film nei teatri di posa di sua proprietà e ad occuparsi direttamente della loro distribuzione.
6. Colazione da Tiffany (musica di Henry Mancini, testo di Johnny H. Mercer, London Festival Orchestra, Stanley Black). Holly e Paul abitano nello stesso palazzo e si piacciono. Anzi, sono proprio innamorati. Ma hanno un’idea fissa: i soldi. Cioè se ne vanno ognuno per la propria strada, che però si rivela piuttosto accidentata. Lui si fa mantenere da una ricca tardona, ma tira troppo la corda. Lei cerca di farsi sposare da un miliardario sudamericano, ma l’operazione fallisce. Però alla fine Audrey Hepburn e George Peppard si ritrovano. Moon River, di Henry Mancini: altro motivo musicale evergreen, questa volta incastonato in un gioiello di commedia agrodolce, sofisticata e pungente, tratta dall’omonimo romanzo di Truman Capote, firmata nel ‘61, nientemeno, dal grande Blake Edwards, allora all’inizio della sua strepitosa carriera, ma già con le armi appuntite.
7. L’amore è una cosa meravigliosa (musica di Alfred Newman, Sammy Fain, testi di Paul Francis Webster, arrangiamento di A. Morley, Boston Pops Orchestra, direttor John Williams). Anche in tempo di guerra (quella di Corea, nella fattispecie) ci si può innamorare, magari a due passi dal fronte, tanto più nell’universo tragico-mieloso di un vecchio film hollywoodiano (1955) di Henry King. Lei è una dottoressa di Hong Kong, mezzo europea e mezzo asiatica, dai tratti somatici improbabili (Jennifer Jones). Lui è un giornalista americano (William Holden). L’amore dura fin che dura la guerra. E fin che dura, l’amore è una cosa meravigliosa, come è noto, anzi, è un concentrato di nettare e ambrosia, scandito da una musica celestial-sinfonica, dal sapore a-temporale, scritta da Alfred Newman. Un successo discografico clamoroso e duraturo: infatti ci è rimasta inchiodata nell’orecchio.
8. La mia Africa – Out of Africa (musica di John Barry, arrangiamento J. Reisman, Boston Pops Orchestra, direttore John Williams). Nel film del 1985 diretto Sidney Pollack e sceneggiato da Kurt Luedtke sul calco degli scritti di Isan Dinesen, di Judith Thurman ed Errol Trzebinsky, la coppia costituita da Meryl Streep e Robert Redford, ovvero la futura grande scrittrice Karen Blixen e l’affascinante avventuriero inglese, in una storia d’amore romantica e amara. Lei sposa un gretto possidente e rimane vedova. Nel 1913 lascia la Danimarca e si trasferisce a Nairobi. Lui si muove su un arcaico aeroplano per traffici forse illeciti. Si incontrano e si amano. Suonano violini e fiati, quasi a scandire la passione, e accarezzare la baldanza del velivolo traballante nell’azzurro. È il Kenya degli anni Dieci. Carrellata su una visione di foreste, savane, acque e tramonti. Un panorama mozzafiato. Ma lui non ritorna. Ha perso la sua sfida al cielo. Costumi di Milena Canonero e musiche da Oscar.
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9. Via col vento (musica di Max Steiner, Hollywood Bowl Orchestra, direttore John Mauceri). Il vecchio mondo si dissolve sotto i colpi di cannone. Brucia Atlanta, brucia il sud travolto dalla guerra civile. Niente più vita dorata nella grande villa di Tara. Nel film del 1939 diretto da Victor Fleming e tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mitchell, se ne va il mondo di Rossella O’Hara. Uno dopo l’altro se ne vanno anche la mamma e il babbo. E se ne va anche la cognata, quella che le ha strappato l’amore del cugino. Inossidabile melodramma infuocato della vecchia Hollywood. Non vale il matrimonio con il ricco avventuriero a placare l’inquietudine, né la nascita di una figlia, presto vittima di un duro destino. Al fianco di Clark Gable, Leslie Howard e Olivia De Havilland, impagabile la protagonista Vivien Leigh, solitaria nel tramonto, che dissolve nel vento in controluce, tra un’eco struggente di violini. Perché in fin dei conti ‘ domani è un altro giorno’.
10. Ombre rosse (musica Richard Hagerman, W. Franke Harling, John Leipold, Leo Shuken, Louis Gruenberg, London Festival Orchestra, direttore Stanley Black). D’un tratto la radiosa marcetta di sapore bucolico, che accompagna la corsa della diligenza sullo sfondo della famosa Monument Valley, si interrompe, e il suono si fa minaccioso, oscuro e roboante. Per forza: irrompono gli indiani sui loro velocissimi mustang, e attaccano tra urla e nugoli di polvere. Meno male che c’è Ringo – John Wayne appostato sul tetto con il suo winchester infallibile, perché dentro l’abitacolo un’umanità male assortita è in balia degli eventi. Ma ecco che arrivano i ‘nostri’, cioè la proverbiale cavalleria degli Stati Uniti che mette in fuga le terribili ‘ombre rosse’. È il mitico film di John Ford del ‘39, naturalmente. Intramontabile.
11. I magnifici sette (musica di Elmer Bernstein, London Festival Orchestra, direttore Stanley Black). La musica comincia con un ‘flamenco’ ma poi è subito una specie di marcia trionfale. Sembra una ‘plaza de toros’ e invece è un miserabile villaggio messicano. Una banda di ladroni taglieggia i campesinos, e loro chiamano dei professionisti – Yul Brynner, Horst Buchholz, Steve McQueen, Charles Bronson, Robert Vaughn, Brad Dexter, James Coburn – per liberarsene. Arrivano sette ‘magnifici’ dalla pistola facile. La battaglia è dura, ma naturalmente è vinta. E anche capesinos smettono di fare i conigli. Al grande Akira Kurosawa, saccheggiato a piene mani da I sette samurai, non era venuta l’idea di far squillare le trombe; a John Sturges, regista, e a Elmer Bernstein, musicista, nel 1960 invece sì. Quest’ultimo certo non pensava che la sua musica sarebbe diventata sempiterna e del tutto anonima. Grazie a qualche spot.
12. West Side Story (musica di Leonard Bernstein, testi di Stephen Sondheim, London Festival Orchestra, direttore Stanley Black). ‘Giulietta e Romeo’ nel West Side di New York. Montecchi e Capuleti in salsa americana, o qualcosa del genere. Mary e Tony appartengono a bande di strada ferocemente rivali. Sono innamorati, ma la battaglia tra i gruppi è all’ultimo sangue. Tocca stare al gioco e rispettare un assurdo rituale. Quando i ragazzi non se le danno di santa ragione, si sfidano nella danza. Coreografie urbane e swing sinfonico, firmato nel ’61 da Leonard Bernstein, per la regia di Robert Wise e Jerome Robbins, con Natalie Wood e Richard Beymer. Fin troppo famoso. Niente da fare, comunque, per Mary e Tony, tanto più che quest’ultimo ci lascia anche la pelle. Non invano, però, perché, forse, le due fazioni finiranno per riconciliarsi.
13. King Kong (musica di Max Steiner, Hollywood Bowl Orchestra, direttore John Mauceri). Quando si dice una ouverture densa di timbri cupo-evocativi, quali l’annuncio di un oscuro evento. E infatti l’enorme scimmione si presenta sullo schermo con tutta la sua spaventosa mole. Ma non è soltanto una bestia mostruosa. Ha, per così dire, un cuore tenero e una natura malinconica, e incredibilmente si incapriccia della bionda Fay Wray. E non c’è catena che tenga: funge dal circo newyorkese, dove viene esposto al pubblico, e rapisce la ragazza. Ma non le torce un capello, anzi, la depone delicatamente prima di uggire sull’Empire State Building. Si esibisce in un paio di numeri da terribili spauracchio disarmato e poi viene abbattuto da uno stormo di aerei sotto gli occhi quasi commossi della folla. Un classico del 1933 diretto da Ernest B. Schoedsack e Merian C. Cooper.
14. Il mago di Oz (musica di Harold Arlen, Herbert Stothart, testi E.Y. Harburg, arrangiamento A. Courage, Boston Pops Orchestra, direttore John Williams). Vola nell’occhio del ciclone la piccola Dorothy di Judy Garland, insieme con il cagnolino Totò, sulle ali di una musica dolce. Approda in un pianeta fantastico, misterioso e affascinante. Un mondo di paura e prodigi, dove ci sono un vecchio leone timido, uno spaventapasseri stralunato e un omino di latta dal cuore d’oro. E c’è anche una vecchia strega malvagia. Alla fine Dorothy scopre il segreto del mago (di Oz, appunto): un vecchietto simpatico travestito da spauracchio, nascosto dietro una macchina di arcaici effetti speciali hollywoodiani. Ma era soltanto un sogno. Nel film di Victor Fleming tratto dal romanzo di L. Frank Baum, la vera felicità non è over the rainbow, sopra l’arcobaleno. È nel cortile di casa.
15. I predatori dell’Arca perduta (musica di John Williams, Boston Pops Orchestra, diretta dall’autore). I nazisti cercano l’Arca, che contiene le tavole dei dieci comandamenti e dona un potere invincibile a chi la possiede. È la fine per tutti, se riescono a metterci le mani. Nel film di Spielberg, su soggetto di George Lucas e Philip Kaufman, il professor Indiana Jones – Harrison Ford, archeologo tosto e prestante, vuole impedirglielo. Lui sa dove si trova la mitologica reliquia. Pure i nazisti lo sanno. Però tra le vestigia degli antichi Egizi si trova anche qualche repellente groviglio di serpenti. Tocca, tra l’altro, salvare dai rettili la bella avventuriera Karen Allen, sempre tra i piedi. Comunque, l’Arca, aprici cielo! non appena scoperchiata, scatena l’apocalisse di fantasmi (elettronici) inferociti. E i nazisti rimangono buggerati. A suon di fanfare e di effetti speciali.
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16. La Pantera rosa (musica di Henry Mancini, arrangiamento di H. Mancini, Boston Pops Orchestra, direttore John Williams). L’ispettore Clouseau – Peter Sellers più he una pantera sembra un talpa zoppa, tronfia e imbranata, dalla comicità irresistibile, impagabile invenzione di Blake Edwards. E del resto la Pantera rosa è un diamante scomparso, che l’esilarante poliziotto dovrebbe ritrovare. Ma lui non troverebbe nemmeno un elefante rosso in una stanza vuota. E in ogni caso ha a che fare con un abile ladro playboy come David Niven. Chissà se il diamante è davvero scomparso. Quello che sembra mai più scomparire è il tema musicale di Mancini, dall’identità inconfondibile, intrigante, insinuante, continuamente riciclato.
17. Lawrance d’Arabia (musica di Maurice Jarre, London Festival Orchestra, direttore Stanley Black). Sordi rulli di tamburo, e poi un crescendo di archi nell’infinita sinfonia del deserto. Dune e pietraie, sabbia e vento. L’occhio della macchina da presa sembra catturare gli estremi orizzonti di un continente riarso. Costruire trame e fomentare guerre: questo il compito del colonnello T. E. Lawrence, detto Lawrence d’Arabia, agente segreto di Sua Maestà britannica, inviato al Cairo nel 1926 per scatenare una sollevazione degli arabi contro i turchi. Beninteso a favore dell’Inghilterra. Inquietante figura, contradditoria e tormentata, incarnata da un Peter O’Toole intenso e quasi ieratico. Epico David Lean, Oscar nel 1963.
18. Jurassic Park (musica di John Williams, Hollywood Bowl Orchestra, direttore John Mauceri). Mai delegare tutto alla tecnologia: se si inceppa il meccanismo sono dolori. Resuscitare i dinosauri, poi, presenta qualche rischio. Per esempio, se cade la barriera computerizzata del tirannosauro, magari per un blocco di energia, allora una forza cupa della natura (manipolata) si scatena. Hai un bel carrellare su valli e foreste, con accompagnamento di musica trionfal-bucolica. Con il tirannosauro non si scherza: si rischia di trasformare il parco giurassico-digitale in una trappola per topi, costruita sugli effetti speciali di Industrial Light and Magic, Dennis Muren, Stan Winston, Phil Tippet e Michael Lantieri. Tocca confidare nel ‘sapere’ informatico di un ragazzino qualunque. Per John Williams è un timbro sonoro facile: ha introiettato la dimensione del colossal spielberghiano (e lucasiano) da un sacco di tempo, e gioca sempre sulla stessa musica.
19. Guerre stellari (musica di John Williams, Boston Pops Orchestra, diretta dall’autore). Siamo imbarcati sul veicolo inter-stellare, insieme con un quasi sconosciuto (fino ad allora) Harrison Ford e con i due travolgenti robot, in missione nelle galassie per liberare la principessa Leila di Carrie Fisher. In mezzo a piste digitali e tracciati elettronici, nel film di George Lucas del ’77 si va all’attacco della base spaziale della Morte Nera con micidiali armi laser, fino a distruggerla, insieme con i suoi piani di annientamento di un intero pianeta (ma purtroppo Vader, il tiranno, ci sfugge, buono, comunque, per il sequel). Rieccolo il monumentale Williams, in un tripudio di trombe e timpani, vero music-maker del ‘nuovo’ colossal hollywoodiano, cinema del ‘futuro’, che è già roba da soffitta.