A mezzanotte, come nelle favole, sono svanite stelline d’oro e vestito blu. La Gran Bretagna lascia ufficialmente l’Unione europea. La Brexit è compiuta. I 28 sono diventati 27. Ci sono voluti quaranta mesi di negoziati e tre proroghe. Un travaglio politico che dal referendum del 2016 ha ‘bruciato’ due primi ministri come David Cameron e Theresa May, e ha diviso la società britannica. Il Regno Unito è il primo paese a lasciare la Ue da quando l’organizzazione internazionale è stata fondata. Londra aveva aderito nel 1973, si ritira 47 anni dopo.
Tonight we are leaving the European Union. pic.twitter.com/zZBsrf4BLe
— Boris Johnson (@BorisJohnson) January 31, 2020
«L’alba di una nuova era», l’ha salutata il primo ministro Boris Johnson nel discorso condiviso sui social poco prima che scoccasse l’ora della Brexit. Ma fuori c’era anche chi piangeva, come i sostenitori della Ue che hanno sfilato nel centro di Londra con le bandiere azzurro-stellate e le candele come a una veglia funebre. Davanti al Parlamento, invece, i promotori della Brexit festeggiavano chiassosi assieme a Nigel Farage. «Non la fine, ma un inizio – ha detto Johnson – Per molte persone, questo è un momento di speranza sorprendente, un momento che pensavano non sarebbe mai arrivato. E ci sono molti, naturalmente, che provano un senso di ansia e di perdita. E poi c’è un terzo gruppo – forse il più numeroso – che ha iniziato a temere che l’intera lotta politica non finisse mai. Capisco tutti questi sentimenti e il nostro lavoro come governo – il mio lavoro – è quello di riunire questo Paese ora e portarci avanti».
Crowds are growing at Parliament Square – have a great time celebrating Brexit Day #BrexitDay pic.twitter.com/eg8wJX7awk
— Brexit Party Torbay (@BrexitTorbay_) January 31, 2020
La Brexit offre alla Gran Bretagna la chance di «di un reale rinnovamento e cambiamento», con più pari opportunità e investimenti in infrastrutture che non si vedevano «dall’era vittoriana». Il premier britannico evoca «un clamoroso successo», parla di un Regno ad un tempo «europeo e globale» e di «un nuovo inizio» segnato anche da rapporti di «cooperazione amichevole fra una Gran Bretagna energica e l’Ue». «Io so che avremo successo, per quanti ostacoli ci possano essere sulla strada – ha continuato Johnson – Abbiamo obbedito alla volontà del popolo. Ora è tempo di scatenare tutto il potenziale di questo splendido Paese, di rendere la vita migliore in ogni angolo del nostro Regno Unito».
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L’Unione Europea, nonostante tutti i suoi punti di forza e le ammirevoli qualità, «è evoluta negli ultimi 50 anni verso una direzione che non si addice più» al Regno Unito, ha affermato Boris Johnson, definendo «sana e democratica» la scelta del divorzio per restituire «sovranità» al Paese su temi quali «controllo dell’immigrazione», commerci, legislazione. Una scelta che «il popolo ha confermato alle urne non una, ma due volte»: al referendum del 2016 e alle elezioni di dicembre.
Si tratta di una svolta che però non avrà effetti immediati: perché sia divorzio vero e a tutti gli effetti dovranno passare 11 mesi di transizione durante i quali definire tutti i rapporti futuri tra Ue e Regno Unito. In questo periodo tutto rimarrà praticamente come prima, a parte il fatto che i 73 eurodeputati non siederanno più a Bruxelles. Fino al 31 dicembre i rapporti commerciali rimarranno gli stessi: il Regno Unito resta nel mercato unico e nell’unione doganale. Londra dovrà inoltre rispettare tutte le norme Ue, anche quelle più contestate che riguardano la Corte europea di Giustizia, ma non prenderà parte alle decisioni politiche dell’Unione dei 27 Paesi. Soprattutto, il Regno Unito continuerà a pagare la sua “quota di partecipazione” alla Ue, cioè continuerà a contribuire al budget comunitario per tutta la durata della transizione. Un limbo necessario, una nuova fase in cui molto ancora può accadere.