Piuttosto che il “Festival dell’amicizia”, com’è stato definito dai vertici Rai, questa edizione numero 70 di Sanremo passerà alla storia come il “Festival dell’opulenza”. Che neanche Pippo Baudo. Ma per salvare il soldato Amadeus, sono stati “dopati” cast dei cantanti, elementi dello spettacolo e ascolti.
Si è visto e sentito di tutto quest’anno. L’Italia del gorgheggio e dell’acuto, le “buone cose di una volta”, e quella del trap e del rap. L’Italia dei nonni e dell’“ammore”, dei Ricchi e Poveri e di Al Bano e Romina, e quella trasgressiva e tossica di Achille Lauro. I monologhi in tempi di #metoo contro la violenza sulle donne e la Bionda e la Bruna, le vallette, le donne intese come condimento della vita e dello spettacolo, magari mettendo qualche “ritocchino” alla loro naturale avvenenza. Il tennista e l’asso della pelota, il premio Oscar e il malato di Sla. Bobby Solo e Ghali. Mike Bongiorno e Maria De Filippi. Passato e presente. Per una maratona, divertente, sfibrante e noiosa, che è durata fino alle ore piccole. Neanche Baudo. Come una giornata in un villaggio turistico Valtur o un falò sulla spiaggia, bruciano i cattivi pensieri e Sanremo diventa un antidoto che per cinque giorni toglie via la prescrizione, il coronavirus, la decrescita infelice e perfino Salvini.
Il risultato è positivo. Rai1 sbandiera record che non si registravano dagli anni Novanta. Ma anche gli ascolti sono “drogati”. Perché non bisogna essere matematici per capire che più avanti si va nella notte e più lo share, la percentuale di ascolto, aumenta. Ovvero, ci sono meno spettatori davanti al televisore, ma quasi tutti quelli che ci sono guardano Sanremo. Anche perché non c’è altro in tv. E lo share notturno fa media. Così ecco che Sanremo 2020 risulta il più visto da sempre, anche se numericamente il pubblico non è aumentato. Quasi lo stesso di quello dello scorso anno, intorno ai 10 milioni, decisamente inferiore rispetto alle edizioni di Morandi (2012) e Fazio (2013), quando si toccavano i 14 milioni di spettatori.
Tesi contestata dal direttore di Rai1, Stefano Coletta, secondo il quale non è corretta la correlazione tra share più alto e durata più lunga della diretta. «Nella sovrapposizione della quarta serata di questa edizione con quella del 2019, nella stessa fascia oraria 21.35-24.52, si registra uno scarto positivo di 6,6 punti di share. E anche la platea è maggiore di 2 milioni di teste». Il direttore bluffa ancora, perché con lo share più alto la Rai vende più facilmente la pubblicità. E Sanremo è il Superbowl della tv di Stato. I calcoli, però, saltano nel momento in cui la fascia oraria si estende fino alle ore 2.25. E la matematica, si sa, non è una opinione.
D’altro canto le statistiche Auditel per il periodo con più alta utenza (autunno-inverno), elaborate dallo Studio Frasi, certificano una diaspora dei canali classici – quelli che sul telecomando vanno da Rai1 alle emittenti locali o a pagamento di Sky – verso piattaforme straniere. Oltre 2,8 milioni di italiani, d’età compresa tra i 15 ed i 44 anni, hanno smesso di accendere il televisore in prima serata, e chi lo accende lo fa per 29 minuti sui 120 totali. Restano davanti all’ormai antiquato piccolo schermo over 50 e, in particolare, nella provincia d’Italia. È questo lo “zoccolo duro” del Festival. E, allora, grazie di Fiore…