A metà dicembre 2017, due mesi dopo che era venuto a galla il caso Harvey Weinstein innescato da quello che è ora noto come il movimento #MeToo, Drew Dixon acquistò una copia del New York Times in una caffetteria a Brooklyn, dove si era trasferita venticinque anni prima inseguendo il sogno di lavorare nella musica. Sulla prima pagina c’era una storia intitolata “Three Allege Music Mogul Raped Them” (Tre famosi magnati della musica le hanno stuprate), con il suo nome nella prima frase dell’articolo. Dixon sfogliò velocemente le pagine, trovando la sua foto in bianco e nero al centro della pagina, quindi scoppiò in lacrime. La sua storia di violenze e molestie sessuali da parte del suo ex capo, il magnate della musica Russell Simmons, era diventata pubblica.
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Il momento, catturato dalla telecamera dei documentaristi Amy Ziering e Kirby Dick, arriva a circa due terzi di On the Record, il film della HBO Max che punta l’indice contro Russell Simmons, il produttore discografico e imprenditore statunitense, co-fondatore, con Rick Rubin, della storica etichetta discografica hip hop Def Jam. E, a quell’epoca, 1995, risalgono i fatti. Ma il film, accolto con una standing ovation al Sundance Film Festival, offre una finestra più ampia, elaborando un trauma sepolto di carriere musicali ostacolate da abusi e vergogne e affrontando il peso di una donna nel farsi avanti per accusare un eroe nella comunità nera, com’è ritenuto Simmons, il quale, peraltro, ha sempre negato con forza di aver mai avuto rapporti sessuali non consensuali. Simmons è considerato il “re dell’hip hop”. Fu lui a lanciarlo sin dai primi anni ’80, prima come promoter di Run-DMC, poi come co-fondatore di Def Jam Recordings, l’etichetta che sta dietro ai successi di LL Cool J, Public Enemy e Beastie Boys.
Il film si concentra principalmente su Dixon. Arrivata a New York nel 1992, dopo un paio d’anni di concerti, aveva ottenuto il suo lavoro da sogno: dirigente esecutivo alla Def Jam. Aveva 24 anni, talento, fame e soprattutto passione. Organizzò la colonna sonora per il documentario rap The Show, con tracce di A Tribe Called Quest e Tupac, conquistando il disco di platino. Ma a quel punto, racconta, le molestie di Simmons cominciarono a diventare insistenti e insostenibili. La spinse nell’armadio in un ristorante e cercò di baciarla, si fece trovare nudo nel suo ufficio. Fino al presunto stupro nel 1995, dopo che Simmons l’aveva attirata nel suo appartamento con un banale pretesto. Il magnate discografico nega, ma altre diciannove donne lo accusano nel documentario.
Dixon lascò la Def Jam per passare all’Arista Records, dove è stata l’artefice di successi di star come Whitney Houston, Lauryn Hill e Aretha Franklin. Ma quando il produttore discografico L.A. Reid acquisì l’etichetta nel 2000, per la donna si ripresentò l’incubo delle molestie sessuali. Lo stress e la vergogna costanti hanno spinto Dixon a lasciare la musica nel 2002, nel pieno della sua carriera, e a «seppellire quella parte di me in un tombino».
Il film aggiunge un contesto storico e culturale a ciò che Drew Dixon e altre vittime di Simmons descrivono come la loro riluttanza a distruggere un potente, amato simbolo della cultura nera: il mito del maschio nero iper-sessuale, che è alla base della misoginia dilagante nell’hip-hop.
La Dixon sulla sua strada si è però imbattuta nel fuoco amico. Oprah Winfrey, opinion maker televisiva molto popolare fra il pubblico afroamericano, inizialmente aveva appoggiato il progetto, firmando anche un accordo per la distribuzione con Apple Tv, poi inaspettatamente decise di defilarsi, ritirando il suo sostegno al film solo quindici giorni prima della prima di gennaio al Sundance. Winfrey fece marcia indietro citando vaghe «incongruenze»: «Sto con le donne, sostengo le donne e spero che la gente veda il film», tenne tuttavia a precisare alla Cbs. Secondo alcuni, un «amico fidato che ha conosciuto Drew tramite Def Jam e Arista» avrebbe suggerito a Winfrey che Dixon non era una fonte affidabile.
«Queste storie sono state riportate dal New York Times, dal Los Angeles Times e dall’Hollywood Reporter e sono state ampiamente verificate», replicano i produttori del film. «Speravo di nascondermi dietro al potere, alla forza, alla dignità e al coraggio di Oprah Winfrey, che ancora ammiro e in cui credo» ha commentato Dixon. Ma dopo l’accoglienza del film al Sundance, «ho scoperto che sono molto più forte per essere sopravvissuta a quell’enorme pugno nello stomaco» ha aggiunto. «Ho ricevuto la solidarietà di molte persone del mondo del cinema, in gran parte bianche. Le persone che avevo conosciuto per 25 anni nel mondo dell’intrattenimento nero finora sono invece rimaste in gran parte silenziose».
Dal suo canto, Russell Simmons, 62 anni, può ancora contare sulla tacita approvazione del mondo della musica afroamericana. Possiede un patrimonio stimato in 340 milioni di dollari, scrive libri ed è molto impegnato socialmente e in iniziative benefiche. Vegano, ha parlato contro le crudeltà negli allevamenti e ha partecipato alla campagna contro Kentucky Fried Chicken. Ha costruito un progetto per la lotta all’antisemitismo. Tra i personaggi famosi coinvolti Beyoncé, Leonardo DiCaprio e Will Smith.
La gente «continua a chiudere gli occhi, anche alla luce delle accuse di venti donne che si sono esposte per denunciare la cattiva condotta sessuale nei loro confronti di Russell Simmons», protesta Drew Dixon. Le aggressioni di Simmons, le molestie di Reid, sono soltanto la punta dell’iceberg. «Ci sarebbero molti film da realizzare nel settore della musica», ha dichiarato Amy Ziering. «Spero che s’inizi presto a realizzarli».
Fallito l’accordo con Apple, il film On The Record è approdato su HBO Max, nuovo concorrente nel sempre più affollato settore dello streaming (nel giro di qualche mese appena è il quarto a debuttare, dopo Disney+, Apple TV+ e Quibi). Anche se è ultimo in ordine di tempo è decisamente temibile. Il servizio è per ora disponibile solo negli Stati Uniti, mentre in Italia le produzioni HBO sono trasmesse, per il momento, da Sky.