Nella seconda metà dell’Ottocento in Francia il nome di Leopardi era noto, ma l’opera era quasi del tutto sconosciuta. La sua fama aveva varcato le Alpi, grazie a dei dotti e dei poeti che avevano viaggiato in Italia, e che avevano compreso in anticipo la grandezza della sua poesia e del suo spirito. Charles-Augustin Sainte-Beuve non è il solo che subisce il fascino della sua poesia: fra i suoi ammiratori ci sono il poeta Alfred De Musset, il De Sinner, e tanti altri. Forse sarà proprio De Sinner che fornirà a Sainte-Beuve alcune informazioni sulla vita del poeta, o che gli consentirà di leggere alcuni suoi scritti. Sta di fatto che il grande critico nel settembre del 1844 gli dedica un saggio e lo pubblica nella “Revue des deux mondes”. Si tratta di un contributo importantissimo, sia perché sancisce la fortuna internazionale del poeta, sia perché rappresenta il primo tentativo di inquadrare la sua produzione letteraria criticamente.
Recentemente il saggio “Portrait de Leopardi” è stato ripubblicato in francese nel 2019 da Allia Èditions e in italiano da Donzelli con un’introduzione di Antonio Prete. Nonostante la sua esile mole (consta di 79 pagine), è un libro pieno di felici intuizioni, che si legge senza fatica. È animato da un tono affabulatorio, da una piacevole e squisita vena narrativa, dal tono a tratti pedagogico ma sempre sorretto da fulminee ed essenziali e penetranti osservazioni critiche.
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Sainte-Beuve, sebbene faccia professione di modestia, padroneggia a fondo la biografia leopardiana. È lui a informarci ad esempio che durante il suo soggiorno a Napoli il poeta ricevette la visita del poeta Platen, che andava in Sicilia, dove poco tempo dopo morirà. È sempre Sainte-Beuve che colloca Leopardi insieme a Byron, Shelley, e Oberman, fra i poeti europei che hanno cantato la disperazione, ma lo distingue da loro per la forza eroica dell’animo, per il suo sentirsi ‘antico’, un uomo della Grecia eroica o della Roma libera, per la convinzione che solo nel passato fosse possibile vivere una vita vera, e che il presente fosse un mondo di ombre (pp.48-49):
Notre âge a comptè d’autres poètes et peintres du désespoir: Byron, Shelley, Oberman […] Mais Leopardi garde en lui, nous le répétons, ce trait distinctif qu’il était né pour être positivement un Ancien, un homme de la Grèce héroïque ou de la Rome libre, et cela sans déclamation aucune et par la force même de sa nature. […] il croyait qu’à travers ces plaintes et ces écueils inévitables, il y avait lieu, en ces temps-là, de vivre d’un vraie vie, au lieu d’être, come aujourd’hui, jetè dans le monde des ombres. […]
Sainte-Beuve per primo propone una lettura del percorso intellettuale di Leopardi a partire dagli anni giovanili: egli comprende che la mostruosa erudizione e l’intensa attività filologica degli anni giovanili preparano la grande produzione poetica successiva, e che gli anni 1820-23 siano segnati da una conversione filosofica (pp.15.16):
Ce papier doit être d’une date peu postérieure à 1819. On ne saurait se tromper en reportant la grande conversion philosophique de Leopardi entre les années 1820-1823. […]
Sainte-Beuve propone anche una prima interpretazione dei Canti (si veda la lettura che dà del Bruto minore, ecc.) e propone per il pubblico francese anche un tentativo di traduzione dell’Infinito (p.51):
J’aimai toujours ce point de colline déserte,
Avec sa hai au bord, qui clôt la vue ouverte
Et m’empêche d’attenindre à l’extrême horizon. […]
Da quel lontano 1844 in cui “Portait de Leopardi” di Sainte-Beuve è stato pubblicato ne è passata di acqua sotto i ponti. Ogni anno la bibliografia leopardiana si arricchisce di nuovi titoli, ma quel libro conserva ancora la sua freschezza. Resta ancora un ritratto incisivo e inimitabile, l’opera non solo di un brillante critico, ma di un grande narratore.