Designata nel luglio 2019 alla presidenza della Commissione europea, Ursula Von der Leyen aveva fatto una promessa ambiziosa: quella di essere coraggiosa e audace. Quasi una profezia. Visto che in questo anno segnato dalla pandemia di coronavirus ce n’è stato davvero bisogno. Nel corso del suo discorso sullo Stato dell’Unione ha presentato la ricetta per «rimettere in piedi» l’Unione europea duramente colpita dalla crisi. Fra le proposte più rilevanti avanzate da von der Leyen c’è anche l’abolizione del regolamento di Dublino, il complesso sistema legislativo che trattiene in Italia e in Grecia migliaia di migranti che arrivano via mare, e che negli anni scorsi sia il Parlamento sia la Commissione avevano più volte provato a modificare trovando sempre l’opposizione del Consiglio dell’Unione Europea.
Von der Leyen ha annunciato che intende sostituire il regolamento con una serie di misure che presenterà il 23 settembre, un giorno prima del Consiglio Europeo. «Il regolamento di Dublino sarà sostituito da una nuova governance europea della gestione delle migrazioni, avrà una struttura comune per quello che riguarda gli asili ed i rimpatri, ed avrà anche un meccanismo di solidarietà molto forte ed incisivo, confermando il principio guida dell’Ue che è quello di «salvare vite». «Un principio che – ha detto – non è un’opzione. Poi bisogna vedere chi ha il diritto di restare oppure no. In ogni caso ci vuole la solidarietà di tutta l’Unione per affrontare questo problema. Ci sarà un dibattito su questo, punti su cui andremo d’accordo e altri meno».
Nonostante i dettagli della proposta non siano ancora noti, quindi nemmeno le sue possibilità di essere approvata – in passato ha sempre trovato l’opposizione del Consiglio dell’Unione Europea, l’organo dove sono rappresentati i governi degli stati nazionali – le parole di Von der Leyen sono state così nette e ambiziose che si è tornati a parlarne concretamente. Il trattato di Dublino è stato firmato nel 1990 da 12 stati dell’Unione Europea ed è entrata in vigore l’1 settembre 1997 in forma di regolamento, cioè una legge europea vincolante per tutti gli stati che fanno parte dell’Unione. In estrema sintesi, il regolamento attuale privilegia il cosiddetto criterio del “primo ingresso”, secondo cui ospitare e valutare ciascuna richiesta di protezione internazionale spetta al paese in cui è avvenuto l’ingresso di quella persona nell’Unione Europea. In questo modo i richiedenti asilo sono costretti a rimanere per mesi o anni nei paesi di frontiera in attesa che la loro domanda venga esaminata, senza la possibilità di spostarsi per raggiungere parenti – o un mercato del lavoro più adatto a loro – né avviare un percorso di integrazione, nella maggior parte dei casi.
Ma appena i flussi sono aumentati, come successo dal 2013 in avanti, è diventato chiaro che il sistema non avrebbe retto. Nel 2015 arrivarono così tante persone dal Medio Oriente e dal Nord Africa, in fuga dalla guerra e dalle violenze, che le autorità greche e italiane smisero temporaneamente di registrare gli arrivi. Il primo grande problema del regolamento di Dublino è l’eccessivo onere a carico dei paesi di frontiera, che soprattutto in caso di aumento dei flussi devono stanziare cifre ingenti per gestire e accogliere i richiedenti in arrivo, esaminare le loro pratiche, ospitarli per mesi o anni in attesa della decisione definitiva. Nel 2017, ultimo l’anno di flusso ingente verso l’Italia prima che il governo Gentiloni decidesse di affidare il compito di fermare i migranti alle milizie armate in Libia, l’Italia spese per l’accoglienza dei richiedenti asilo circa 4,3 miliardi di euro.
Un secondo problema riguarda l’inefficienza dell’intero sistema. La maggior parte dei richiedenti asilo che arriva in Italia, Grecia e Spagna – i paesi di frontiera più coinvolti – non ambisce a rimanerci, ma a spostarsi nei paesi in cui si parla una lingua che conosce, dove il mercato del lavoro è meno rigido, e dove ha già una rete di connazionali. Poi c’è il problema diritti dei richiedenti asilo. Affidare l’intera gestione del sistema a pochi paesi, senza una redistribuzione omogenea, fa in modo che le autorità nazionali di Italia, Grecia e Spagna siano oberate di pratiche e facciano fatica a prendere decisioni in tempi accettabili, prolungando il limbo e le situazioni di vulnerabilità trovano i richiedenti asilo: su tutti quelli che attendono una decisione sulla propria richiesta nei campi profughi sulle isole greche, in condizioni disumane.
Il trattato di Dublino risulta essere dunque superato. Ma il principale ostacolo per una seria revisione rimane l’opposizione dei paesi dell’Est tradizionalmente ostili ai migranti che provengono da Medio Oriente e Nord Africa,che già in passato avevano rifiutato qualsiasi compromesso che prevedesse il ricollocamento di richiedenti asilo nel proprio territorio da Italia, Grecia o Spagna. La proposta che la Commissione presenterà il 23 settembre sarà valutata dai governi nazionali nelle settimane successive. A luglio il governo tedesco, che mantiene la presidenza di turno del Consiglio fino a dicembre, aveva annunciato di voler trovare un accordo sulla riforma del Regolamento di Dublino entro l’anno, ma da allora non sono emerse proposte concrete o basi di negoziato.