Non bastava la pandemia. Come sempre, il nostro Paese ha deciso di esagerare con una crisi di governo che dopo essere stata minacciata per diversi giorni, ieri pomeriggio è stata formalizzata dal leader di Italia Viva Matteo Renzi che, sulla scia della tradizione di rottamatore, ha deciso di annunciare le dimissioni delle ministre Elena Bonetti (Pari opportunità) e Teresa Bellanova (Politiche agricole) e del sottosegretario Ivan Scalfarotto , mettendo fine al governo Conte-bis, di cui lui stesso era stato artefice.
L’impatto della crisi di governo sulle partite economiche del Paese va calibrato sull’esito della stessa crisi. Un conto è un mini rimpasto, un altro è uno stravolgimento della squadra dei ministri. Un’altra storia, ancora, se ci sarà una nuova maggioranza o un avvicendamento a palazzo Chigi. In senso opposto se lo strappo di Matteo Renzi dovesse rientrare allora l’impatto sarebbe minore, addirittura nullo in caso di una intesa sul patto di legislatura. Ma molti dossier hanno scadenze imminenti e non possono aspettare di certo i tempi della crisi. A iniziare dai nuovi ristori da destinare alle attività colpite dalle restrizioni anti-Covid.
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È l’allarme lanciato dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: un governo non più «nella pienezza delle sue funzioni» non potrebbe riunirsi per chiedere alle Camere un nuovo scostamento da almeno un punto e mezzo di Pil, circa 24 miliardi, per far fronte ancora una volta ai danni più immediati della pandemia con nuovi contributi a fondo perduto, rifinanziamento della cassa integrazione e fondi per la sanità. Dal canto suo l’ex premier Matteo Renzi in conferenza stampa ha rassicurato che anche in caso di crisi Iv voterà a favore dei ristori così come del nuovo scostamento di bilancio. E il Parlamento già si prepara a ricevere la richiesta con una finestra per il voto la prossima settimana, per fare in modo che possa vedere la luce entro la fine del mese il decreto Ristori 5.
Ma non è solo l’emergenza Covid a rischiare di rimanere senza risposte in caso di fine del Conte-bis. Che ne sarà dei dossier Alitalia, Ilva, Autostrade? Martedì sera il commissario di Alitalia Giuseppe Leogrande ha convocato con urgenza i sindacati. La situazione finanziaria della vecchia Alitalia è al limite della sostenibilità. In cassa ci sono pochi milioni di euro e servono disperatamente i 77 milioni del decreto Rilancio per tirare avanti finché la nuova Alitalia non spiccherà il volo. Una transizione che rischia di essere molto dolorosa per circa 10.500 lavoratori. Circa seimila di lavoro resteranno nella vecchia Alitalia, 5.500 migreranno nella nuova Alitalia, battezzata con il nome di Ita (Italia trasporto aereo). Ma Leogrande ha messo in evidenza il rischio che la crisi politica possa aggravare il passaggio dalla vecchia alla nuova Alitalia.
Tra quindici giorni, invece, arriva l’ora x per un altro dossier importante: Autostrade. Il 31 gennaio è attesa la nuova offerta della Cassa depositi e prestiti e dei fondi Blackstone e Macquarie. La partita si trascina avanti da mesi, ma questa potrebbe essere la volta buona. Quantomeno per arrivare a una proposta di offerta vincolante. E anche in questo caso bisogna tenere conto degli eventuali nuovi equilibri dentro al governo e nella maggioranza. Renzi chiede una “discontinuità” al ministero dell’Economia anche su Autostrade.
C’è da disegnare anche il futuro dell’ex Ilva di Taranto e quello di Whirlpool. Sulla prima questione c’è da gestire la delicatissima partita della cassa integrazione che terrà centinaia di operai fuori dall’impianto per alcuni anni (questo prevede l’accordo tra lo Stato e Mittal). E una crisi frenerebbe anche l’avvio del nuovo progetto per l’impianto, quella svolta green che va ancora costruita dato che al momento c’è solo l’operazione finanziaria che ha portato Invitalia, la holding per lo sviluppo del Tesoro, a entrare nel nuovo corso insieme a Arcelor. Anche sul fronte Whirpool non si può perdere tempo: il 31 ottobre la multinazionale ha fermato la produzione di lavatrici e il primo aprile parte la procedura di licenziamento collettivo.
In ballo anche la riforma degli ammortizzatori, per non farsi trovare impreparati alla fine di marzo quando si sbloccheranno i licenziamenti, e quella delle pensioni in vista della scadenza di quota 100. In caso di crisi di governo rischierebbe di rimanere in stand by anche uno dei ‘pilastri’ dell’ultima manovra, cioè l’introduzione dell’assegno unico. Il susseguirsi di decreti anti-crisi ha fermato l’esame parlamentare del disegno di legge delega, che ancora non è stato calendarizzato al Senato. Molto più complicata potrebbe essere poi la strada della riforma dell’Irpef.