29 voti a favore, 221 contro. Il Senato si è così espresso riguardo la mozione di sfiducia presentata nei confronti del ministro della Salute Roberto Speranza da Fratelli d’Italia. Archiviato lo scoglio sul coprifuoco, che sarà ridiscusso nei suoi dettagli a metà maggio, il governo Draghi è tornato in Parlamento per un altro test di tenuta della maggioranza. Lega e Forza Italia hanno votato con la maggioranza. Anche se subito dopo, Mattero Salvini è tornato a chiedere una «commissione d’inchiesta vera e seria su Speranza e sul piano pandemico».
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«In un grande Paese non si fa politica su una epidemia». Nel suo discorso in Aula, senza mai nominare Matteo Salvini, Speranza ha sfogato tutta la sua amarezza per il «linguaggio d’odio» che sente ogni giorno addosso, ha rimproverato alla destra di «sfruttare l’angoscia degli italiani per miopi interessi di parte». Ma al di là dello scontro politico, il ministro ha anche provato a sgombrare il campo alle accuse che hanno messo a rischio il suo incarico a partire del mancato aggiornamento del piano pandemico italiano del 2006. «Giudizi immotivati», che Speranza smentisce e ribalta uno per uno. Il ministro ha ricordato che il piano pandemico non è stato aggiornato nel corso di sette precedenti governi e «tutti i gruppi di quest’Aula hanno sostenuto alcuni di questi governi». «Ora comunque un piano c’è» rivendica Speranza.
Speranza ha ribadito che attaccare lui significa indebolire la battaglia di un Paese intero contro il nemico, che è il virus e non il ministro della Salute: «Nessuno dovrebbe mai dimenticare che il nemico è il virus e che dovremmo essere uniti nel combatterlo. Invece prevale lo scontro politico e si cerca di sfruttare l’angoscia degli italiani per miopi interessi di parte: è sbagliato, perché produce danni enormi, non a me o al governo, ma al Paese che deve restare unito in un passaggio delicato». E ha aggiunto: «Questa rimarrà sempre la mia linea: unità, unità, unità! Ho fatto tutto quanto in mio potere e nelle mie forze per difendere la salute degli italiani».