Stiamo attraversando un periodo di stravolgimenti epocali che investono tutti i settori della comunità umana: dall’economia alla società, dalla religione alla scuola, dai diritti agli ideali e, cosa ancora più grave lo stravolgimento della nostra stessa identità. Si tratta di una rivoluzione vera e propria ma con maggiore vittime rispetto a quelle del passato. A fronte di un susseguirsi di eventi che non riusciamo più a comprendere e governare, ci sentiamo disorientati, e frastornati dal trambusto del monopolio mediatico del regime globale attuale dell’informazione. La crisi che stiamo attraversando è strutturale, ossia di sistema, ed in forma sintetica può essere definita come la misura del disordine elementare, a cui tendono tutti i processi naturali (entropia), ed esalta il trionfo del pensiero debole, liquido (Bauman).
Nel processo inarrestabile della globalizzazione, la cultura dominante respinge e nega l’umanesimo in un mondo dominato dalla dittatura del relativismo. La crisi antropologica ha un forte impatto sulle famiglie, sulla città, sulle periferie urbane, e conduce allo smarrimento della propria identità. Le crisi ordinariamente sono il fertilizzante per tutte le attività delle organizzazioni criminali e del terrorismo internazionale. Pertanto si appalesa necessario un confronto serrato, con il mondo civile, così come viene portato avanti da alcune associazioni no profit e da gruppi di solidarietà internazionale, impegnati direttamente per salvare vite umane, per verificare dati, modelli, lo stato generale delle cose, tenendo ben presente che non tutto possa sempre coincidere con il nostro punto di vista di osservazione.
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Ciò che conta tuttavia è che dobbiamo avere la consapevolezza che esiste un movimento globale e non escluderei anche a livello locale, ossia nazionale, che tenta costantemente di influenzare, condizionare i nostri usi, costume e perfino lo stile di vita di singoli cittadini e delle famiglie. Si tratta di continuare a combattere contro alcuni paradigmi che minacciano costantemente di dissolvere l’umanità con accanimento contro una società che stenta a risalire la china, ma che cerca di non piegarsi sulle ferite prodotte curando i feriti come si fa in un “ospedale da campo”, secondo le parole di papa Francesco, perché attraverso la guarigione della società unitamente a un’azione forte, potrà ri-nascere una “società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”.
Gli uomini di buona volontà, di cultura, gli intellettuali, gli uomini e le donne di spettacolo, soprattutto chi opera con i mezzi multimediali, non possono fare a meno di annunciare una speranza attendibile che passa attraverso il proprio sapere, la conoscenza e divulgare la dottrina contenuta nel catechismo della Chiesa cattolica alle persone così come sono oggi, lontane e ferite, tentando di accompagnarle verso la pienezza della verità, con gradualità, carità e pazienza. Questa è la evangelizzazione che ci richiede il Magistero, necessaria ad un apostolato culturale, per rendere attuali i cardini della Dottrina sociale della Chiesa. E così ognuno è chiamato a seminare nel cuore degli uomini la speranza per un “mondo migliore”, per combattere la disperazione, il nichilismo dominante, diffondendo la gioia del Vangelo (Evangelii gaudium) con la buona dottrina e la serenità che viene dal radicamento in Cristo.
Ma come architetto devo sottolineare che sia l’architettura che l’urbanistica non restano estranei e indenni dagli stravolgimenti epocali che hanno investito ed investono ancora oggi tutti i settori della comunità umana. All’inizio del secolo scorso, alcuni dei grandi architetti del cosiddetto periodo razionalista, tentarono e in buona parte riuscirono a trasformare radicalmente l’ambiente antropizzato, facendo tabula rasa delle architetture precedenti, con il nobile intento di apportare grandi novità ai congressi dell’epoca (CIAM), ricercare nuovi modelli spaziali, oscurando ogni forma di decoro.
A tal fine mediante l’utilizzo e il trionfo dei nuovi materiale da costruzione, il calcestruzzo e l’acciaio contribuirono ad eliminare totalmente qualsiasi forma che non fosse finalizzata alla funzionalità degli edifici medesimi. Si riportano ad esempio alcune realizzazioni importanti di famosi architetti che nonostante la ricerca raffinata di alcune forme e l’utilizzo appropriato di colori primari sui manufatti architettonici, essi hanno progressivamente condotto tali modelli nel caos dell’architettura post-moderna.
Per utilità e per semplificare quanto sopra esposto, riporto di seguito uno stralcio dell’articolo del critico d’arte Maurizio Cecchetti pubblicato su avvenire quasi vent’anni fa e ancora di grande attualità: «Oggi è il potere stesso dell’immaginazione che guida la mano di architetti sempre più succubi alle manie autorappresentative di una committenza, privata e pubblica, che ha fatto dell’architettura il suo più potente mezzo di espressione per intorpidire le masse. I nomi di punta del gotha architettonico ci sono: Isozaki, Gehry, Coophimmelb(l)au, Zaha Hadid, Einseman, Roger, Tadao Ando, Dagmar Richter, Massimiliano Fuksas, Jean Nouvel, Alvaro Siza, Rafael Moneo, Daniel Libeskind… e accanto a loro altri studi prestigiosi che ci offrono un idioma senza centro coagulante. Dev’essere questa l’idea di metamorfosi che hanno i nostri architetti contemporanei: edifici che si spezzano, ribaltano allineamenti, scardinano simmetrie, si gonfiano come membrane elastiche, si scheggiano come specchi infranti, si distendono in vertiginose teorie curvilinee. Eppure non ti lasciano capire quale idea di uomo e di mondo custodiscano».
La ricerca esasperata di nuove forme autoreferenziali e la continua metamorfosi delle stesse, la crescita economica che non pone al centro la persona umana in tutte le sue dimensioni e che fa a meno della necessità di ricostruire l’etica del bene comune in campo culturale, economico, politico, sociale, pone in crisi l’organizzazione stessa del tessuto sociale e distrugge irreversibilmente le differenze, le città, l’identità dei singoli e delle famiglie. Ecco allora la necessità di capire l’evoluzione dell’assetto delle arti e della città nella storia, per quanto è stato possibile desumere dalla esperienza di studiosi, alla luce dei fatti ricollegandoli gli uni agli altri nel tentativo, a volte non facilissimo, di trovare quel denominatore comune, quel filo conduttore che ci faccia comprendere cosa stia davvero succedendo e verso dove si stia andando. L’attuale Pontefice, sia nella prima esortazione apostolica Evangelii Gaudium (punti 74 e 75), e nella sua prima Enciclica Laudato si’, sottolinea il progressivo deterioramento della qualità della vita umana e il degrado sociale nelle città e nelle periferie urbane.
È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città. Non bisogna dimenticare che la città è un ambito multiculturale. Nelle grandi città si può osservare un tessuto connettivo in cui gruppi di persone condividono le medesime modalità di sognare la vita e immaginari simili e si costituiscono in nuovi settori umani, in territori culturali, in città invisibili.
L’Enciclica pone alla riflessione di tutti un preciso interrogativo: che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che ora stanno crescendo, figli e per alcuni di noi nonni? Si tratta di una domanda che non riguarda solo l’ambiente in senso stretto, ma il senso dell’esistenza e i valori che stanno alla base della vita sociale: «Per quale fine ci troviamo in questa vita? Per quale scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?». Nel capitolo IV l’Enciclica (Laudato si’) pone come obiettivo la elaborazione di un profilo relativo ad una ecologia integrale che, nelle sue diverse dimensioni, comprenda «il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda», nelle diverse dimensioni della nostra vita, nell’economia e nella politica, nelle diverse culture, in particolare in quelle più minacciate, e finanche in ogni momento della nostra vita quotidiana. Papa Francesco ci sollecita a dare diffusione alla stregua di tutta l’enciclica a una conversione ecologica e all’umanizzazione dell’architettura e dell’urbanistica secondo l’espressione già utilizzata da Giovanni Paolo II, e cioè cambiare rotta assumendo la responsabilità comune ed un concreto impegno per la cura della “casa comune” che è la città con i suoi sobborghi.