Israele, Paese più immunizzato al mondo, è diventato la cartina di tornasole per quanto riguarda l’osservazione delle misure prese per contenere la pandemia di coronavirus, soprattutto per quanto riguarda gli effetti dei vaccini e come rispondono alle varianti Covid. Secondo i dati resi noti dal ministero della Salute israeliano «l’efficacia di Pfizer per la protezione contro la variante Delta scende al 64% dal 94% contro altri ceppi».
I dati diffusi nel mese di maggio dimostravano un’efficacia del vaccino Pfizer pari al 94,3% nella prevenzione dei contagi asintomatici mentre nel mese di giugno, quando la variante Delta si è maggiormente diffusa (al momento è causa del 90% dei contagi in Israele) la copertura si attesterebbe intorno al 64%.
Una perdita di efficacia di circa il 30%, triplicata rispetto al 10% stimato a giugno, ma attenzione: pur non prevenendo i contagi, il vaccino continua a proteggere da ospedalizzazione e morte. La riduzione di efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech contro il Covid-19 – che secondo il ministero israeliano è ora al 64% contro il 94,3 per cento iniziale di maggio, quando la variante diagnosticata per la prima volta in India era meno diffusa – comporta quindi misure di prudenza e di protezione, come quelle già utilizzate. Ma non vuol dire che il vaccino sia inefficace o non funzioni: il suo compito, infatti, è proteggere dalle conseguenze dell’infezione da Sars-Cov-2, conseguenze gravissime e anche mortali. E questo compito il vaccino lo sta facendo.
Gli esperti israeliani fanno notare che rispetto alla malattia grave il tasso di efficacia è in calo solo del 5%: a maggio, il tasso di efficacia del vaccino nella prevenzione dei ricoveri era del 98,2%, mentre a giugno del 93%. Niente male se pensiamo che in Israele la variante Delta è associata al 90% dei nuovi casi nelle ultime due settimane. Si tratta di una mutazione che sembra essere due volte più contagioso del ceppo originale.
Oggi Israele rappresenta uno dei Paesi al mondo con la più alta percentuale di immunizzazione della popolazione contro il Covid-19, con il 57% dei cittadini che ha completato il ciclo vaccinale, l’88% dei quali appartenenti alla fascia d’età con più di 50 anni. Secondo le informazioni diffuse da Israele il 51% dei nuovi contagi è tra persone già vaccinate, mentre l’altra metà dei nuovi contagi riguarderebbe bambini non ancora immunizzati. La maggior parte dei nuovi casi è asintomatico o lievemente sintomatico. Il tasso di positività si è attestato intorno allo 0,7% e nel corso dell’ultima settimana il numero di positivi è raddoppiato passando da 1.228 a 2.597. Il biologo computazionale Eran Segal del Weizmann Institute of Science di Israele ha affermato che è improbabile che il paese subisca gli alti livelli di ricoveri osservati all’inizio dell’anno poiché ci sono stati molti meno malati critici. «Dai nuovi dati impariamo che il vaccino è efficace nel prevenire la malattia grave e quindi il pericolo della congestione degli ospedali è lontano. Per arrivare a un record di ospedalizzazioni come nel periodo precedente all’introduzione del vaccino, dovremmo avere 15-20.000 contagi quotidiani».
Altri studi hanno invece confermato che i vaccini funzionano bene anche contro la variante Delta, purché il ciclo vaccinale sia completo. Contro la variante Delta la protezione per i vaccini Pfizer e Moderna scende dal 90-95%, all’85-90%, che vuol dire che si possono infettare il 10-15% di chi è completamente vaccinato. Per AstraZeneca da un livello del 70-75%, si scende al 65-70%. Con una dose soltanto nei confronti della Delta c’è un crollo: con Pfizer si arriva appena al 30% di efficacia e con AstraZeneca al 20%. Quindi si possono infettare il 70-80% delle persone (a due settimane dall’iniezione, perché prima l’organismo è ancora «vergine» dal punto di vista immunologico). Si è visto sia in Israele sia nel Regno Unito che i vaccinati raramente si aggravano se si ammalano di Covid. Nel Regno Unito, nonostante il dominio della Delta su 20-25mila infezioni ci sono in media 15-20 decessi e pochi ricoveri nei reparti di terapia intensiva. Le persone si possono quindi sì infettare, ma la mortalità e lo stress sui ricoveri in terapia intensiva scendono ai livelli di un’influenza.