Matteo Salvini e Matteo Renzi hanno messo il reddito di cittadinanza, che costa 7-8 miliardi l’anno, sul banco degli imputati in vista della prossima manovra. La Lega punta a un forte ridimensionamento, condiviso anche da Fi. La leader di FdI, Giorgia Meloni l’ha addirittura definito «Metadone di Stato», mentre Iv ha evocato un referendum per bloccarlo. Ma i Cinque Stelle difendono a spada tratta il sussidio, appoggiati da Leu e Pd, che però lo definisce «migliorabile». E questa sembra essere anche la linea del premier Mario Draghi, intenzionato a tenere in vita lo strumento ma potenziando i controlli e rendendo più veloce l’accesso al lavoro dei beneficiari.
Il Reddito di cittadinanza sarà rafforzato, dunque, nell’azione di contrasto alla povertà e sarà collegato alle politiche attive del lavoro, ma non sarà superato. Ribaltando lo schema: il sussidio a valle degli interventi per favorire l’occupazione e non il contrario, come in parte si è pensato di poter fare tre anni fa circa quando l’istituto è stato approvato dalla precedente maggioranza giallo-verde del Conte I (M5s- Lega).
«Il Reddito di cittadinanza è uno strumento importante di contrasto alla povertà. Come ci dice l’Istat, un milione di persone è scivolato sotto la soglia di povertà assoluta nella pandemia: sarebbe andata peggio senza il Rdc e le altre misure straordinarie». Stefano Scarpetta, laurea alla Sapienza, master alla London School of Economics e PhD all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, Direttore per il Lavoro e le Politiche sociali dell’Ocse, sostiene, in un’intervista a Repubblica, che l’errore che non deve compiere il governo è separare il reddito dalla riforma delle politiche attive del lavoro «della quale anzi deve essere parte integrante».
È questa l’idea prevalente nel governo, a partire dal ministro del Lavoro Orlando. Il Reddito di cittadinanza è uno strumento che negli ultimi due anni, come riconoscono in tanti, ha consentito di arginare il dilagare della povertà nel nostro Paese ed attutire gli effetti della crisi. Quello che non ha funzionato è la parte legata all’individuazione di nuovi posti di lavoro: ancora oggi infatti ci sono 750mila percettori del Reddito che aspettano una nuova occupazione.
Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha istituito un comitato scientifico per la riforma del Reddito di cittadinanza. Una revisione che si si basa su due principi: da una parte il rafforzamento delle misure di contrasto alla povertà, dall’altra un maggior legame con le politiche attive del lavoro. Per quanto riguarda il primo aspetto, la priorità è far rientrare le molte persone finora escluse per criteri troppo stringenti. Per esempio gli stranieri: potrebbe essere ridotto da 10 a 5 anni il numero di anni di residenza in Italia richiesto. Potrebbe variare anche la valutazione del patrimonio, così come la scala di equivalenza: ad oggi favorisce i single e penalizza le famiglie numerose, quindi l’idea è quella di riequilibrare i valori. Poi si penserà alle politiche attive del lavoro, da collegare alle riforme previste sul tema, ma sempre considerando che una buona parte di chi riceve il reddito di cittadinanza non è occupabile. Nella sua proposta la misura dovrebbe introdurre l’obbligo di seguire corsi e altre attività formative di studio, aggiornamento e allargamento delle competenze. In questo modo il reddito di cittadinanza diverrebbe un sistema duplice di sostegno e formazione, nell’ottica di aumentare le possibilità di ottenere un lavoro e aumentare il valore di questo lavoro.
Il governo Draghi sta, inoltre, studiando una possibile riforma delle politiche attive del lavoro, anche al di là del reddito di cittadinanza. Innanzitutto ci sono i 5 miliardi di euro previsti dal Recovery per l’inserimento nel mercato del lavoro di 3 milioni di persone, come spiega Repubblica. Secondo quanto riportato nel Pnrr si punterebbe, attraverso la formazione, soprattutto su giovani e donne. La seconda rivoluzione è quella degli ammortizzatori sociali: la riforma sarà presentata insieme alla manovra ed entrerà in vigore nel 2022. Gli ammortizzatori dovrebbero essere uguali per tutti, indipendentemente da settore e contratto di lavoro. L’obiettivo è evitare che ci siano lavoratori in cassa integrazione per molti anni attraverso nuove politiche per favorire la ri-occupazione. Riforme che non potranno non riflettersi sul reddito di cittadinanza.