A volte penso che esista una incomprensibile sintonia fra i libri e i moti del nostro animo. Resta però il dubbio: capitano per puro caso nella nostra vita come le persone o invece per un disegno prestabilito di cui a noi sfugge il senso? Da un po’ avevo sulla mia scrivania Dante Rockstar di Giuseppe Attardi ma solo in questi giorni l’ho finalmente letto. A spingermi verso questo saggio è stato forse il desiderio di avvicinarmi a Dante in un altro modo, con un altro punto di vista, alternativo. Mi verrebbe da dire quasi ‘trasgressivo’ nei contenuti (con toni meno consueti, con uno sguardo rivolto alle sonorità dantesche, all’armonia insita nella sua poesia) ma sobrio ed elegante nella sostanza.

Nel saggio di Attardi, pubblicato da Contanima, per una strana corrispondenza ho ritrovato tutto questo e grazie a lui ho scoperto un mondo a me sconosciuto, e credo anche alla maggioranza dei lettori, dell’universo dantesco, cioè la vitalità dell’opera del Poeta, il costante riuso dei suoi versi non soltanto nella ben più nota tradizione poetica ‘alta’ ma anche nella musica pop. Se è nota, infatti, l’influenza della Commedia ma anche degli altri versi scritti di Dante sui tantissimi poeti che hanno costellato la nostra tradizione, di meno lo è invece la loro influenza sulla musica, e il libro di Attardi mira a ricostruire, e qui credo sia il suo merito più importante, il rapporto fra poesia e musica, che era molto vivo all’origine della nostra tradizione e che a suo giudizio si è interrotto con Petrarca, il quale ha operato una cesura netta fra la scrittura delle parole e quella della musica:
[…] È subito dopo Dante che la musica vivrà «una lunga stagione di sostanziale esclusione rispetto alla cultura filosofico-letteraria.» È con Petrarca che nella nostra storia letteraria avviene un trauma, uno shock che separa la scrittura delle parole dalla scrittura della musica. La poesia non ha più bisogno dell’accompagnamento delle note, si ritiene autosufficiente. […]
Il saggio di Attardi non entra in questioni di esegesi dantesca. Studia invece una tradizione ‘nuova’, non sempre adeguatamente analizzata. La analizza con dovizia di particolari, con competenza e allo stesso tempo leggerezza, e soprattutto dimostra come tanti nostri cantautori, quali ad esempio Bruno Lauzi, De André, Vecchioni, Tenco, Battisti-Mogol si sono ispirati per la scrittura dei loro testi alla Scuola Siciliana, allo Stil Novo e non solo alla Commedia ma anche alla Vita nova e alle Rime di Dante Alighieri.
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L’ambito di indagine di Attardi ha un respiro internazionale. Nei dodici capitoli, agilmente strutturati e di piacevole e godibile leggibilità, che compongono il libro troviamo citate figure importantissime quali ad esempio Bob Dylan, che era un attento conoscitore della letteratura italiana, e che in molti suoi testi ha chiaramente fatto sue suggestioni dantesche come nel brano Tangled up in Blue. Echi danteschi sono presenti, però, anche in Leonard Cohen, David Bowie, in Derrick Green, cantante e chitarrista statunitense dei Sepultura e in tanti altri.
I gironi danteschi hanno ispirato artisti rock, che spesso hanno tentato ardue contaminazioni di linguaggi, affascinati dallo sperimentalismo dantesco e soprattutto dal fatto che la Commedia a ogni rilettura appare sempre capace di evocare altri significati e interpretazioni. Le sonorità dantesche, come ben evidenzia Attardi, ispirano in Songs from the Divine Comedy il violoncellista palermitano Giovanni Sollima; i personaggi della Commedia nonostante il trascorrere dei secoli sono ancora attuali, sono capaci di adattarsi ai tempi, nelle più disparate sensibilità musicali, come nella musica indie con i Marlene Kuntz (p.106), o nei Baustelle, o in un’artista come Caparezza (p.117), anche lui alla ricerca del suo Virgilio:
Spinto dalle mie orme ritrovo la guida
Guardo dietro le fronde, è di nuovo mattina
Nella testa una voce di tuono antica
Sta dicendo: ‘Non correre uomo’.
Anche noi in fondo, siamo alla ricerca, sembra dirci Attardi fra le righe, del nostro Virgilio o della nostra Beatrice. È questa forse la ragione profonda del continuo riuso di Dante nel nostro mondo globale. Viviamo in un’epoca di crisi epocale dove c’è bisogno di ‘padri’ o voci a cui affidarsi. «Oggi più che mai» scrive l’autore «necessitiamo di un discorso sulle radici, di un viaggio catartico all’origine di ciò che siamo. Da qui l’idea di tornare, anzi di ricominciare da Dante. Nel suo capolavoro il Poeta ci dice che è attraverso l’umano che si può affrontare la selva oscura dei tempi per tentare una rinascita».