I libri amo portarli con me. Mi definirei un lettore di altri tempi, certo non da scrivania. O comunque non solo. Forse è per questo motivo che oggi ho portato con me gli ultimi versi di Caterina Trombetti , Incontro (poesia e musica). Forse perché li sento affini al mio modo di leggere. Li percepisco infatti vicini alle cose, ai luoghi, agli oggetti, chiari e nitidi, capaci di ancorarsi alla realtà ma anche di evocare il paesaggio interiore dell’anima. In queste liriche Caterina Trombetti riscopre la fisicità della parola, il valore della musicalità. I testi sono, inoltre, accompagnati dalla musica di Giovanni Pecchioli e da letture della stessa poetessa. A tratti mentre passeggio le ascolto, mi immergo così nella bellezza del paesaggio senese, in un felice ‘incontro’ non solo di due personalità in sintonia fra loro ma di musica e poesia, in una commistione dei ritmi in cui la parola ritorna a cercare un suo ritmo, e il ritmo si sostanzia nella parola.
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Questo bisogno di materialità della parola, di fisicità, che è strettamente legata al suono, alla ricerca di ritmi non sempre prevedibili, mi riporta alle origini della nostra tradizione, alla riscoperta del valore quasi del ‘canto’ ma anche dei luoghi, della loro persistenza nel presente, del loro esserci nella storia. I luoghi che la poetessa attraversa, principalmente quelli del paesaggio toscano, vibrano, hanno per lei una magia intrinseca al loro esserci che si concretizza in immagini nitide ed evocative.
Nel loro esserci sembrano attendere il viandante che arriva per suggerirgli delle parole, il canto che da sempre in sé trattengono. Sono lì in una calda materialità ma anche avvolti in un’aura di spiritualità. Sono loro che parlano, che prendono voce, come il rosone dell’Abbazia di San Galgano, che con il suo ‘occhio gigante’, sembra punti lo sguardo sul mondo intorno per accogliere il pellegrino che arriva, o l’acqua che durante l’alluvione del 1966 invase Firenze, o come il ‘cuore bianco’ delle Apuane che si slanciano verso il cielo. Il paesaggio, dovunque la poetessa va, è per lei fonte di ispirazione. A volte è simbolico, uno spazio spirituale che si crea fra lei e l’altro, tensione verso Dio (Mi preparo per lui); altre volte è invece uno spazio interiore di ricerca di pace per lo spirito (La torre) e dell’armonia perduta con il mondo e la natura:
Da questa torre del castello
sono le statue a farmi compagnia,
e un vento leggero che dà pace.Da questa torre alta di Compiano
che svetta come i suoi due campanili,
a tutto tondo la distesa verde
muta piano piano nell’azzurro
dei monti fino a divenire cielo. […]
Nella poesia della Trombetti è la terra che parla. Il suo è un andare verso le cose, un camminare, un sentirsi viandante ma è anche un atto continuo teso a portare le cose stesse dentro di lei, a manifestarne l’essenza. Scorge segni nel paesaggio che attraversa del nuovo e dell’antico; la voce del passato la fa emozionare dinanzi a una bellezza che ha attraversato i secoli, nell’erba appena nata coglie le tracce di una nuova età che sta per nascere (p.21):
Siamo viandanti che vanno per via
e calpestano l’antico tratturo.
La storia vibra sotto i nostri passi
ma l’erba nuova appare, orgogliosa. […]
In conclusione, l’atteggiamento che la poetessa ha rispetto alla vita è quello del viandante: va ponendosi in ascolto, consapevole di attraversare passaggi antichi, strade già percorse, in cui sente il proprio legame con gli uomini del passato ma anche con quelli che verranno, in una continuità, nonostante il dolore, di speranza e fiducia nel domani.