Se la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica formalmente conferma l’assetto istituzionale esistente, preservando in teoria il governo di Mario Draghi e la maggioranza che lo sostiene, in realtà le forze politiche escono più sfilacciati di quanto non fossero già prima. Le tossine si scorgono tra i vari schieramenti che eccezionalmente governano insieme, ma anche dentro le coalizioni e perfino all’interno dei singoli partiti. Il centrodestra è spaccato. Nel M5s emergono vecchie divisioni.
Matteo Salvini rivendica le sue mosse, Silvio Berlusconi ricompatta una Forza Italia divisa, ma non un’alleanza di centrodestra che, secondo Giorgia Meloni, non c’è più .«In questo momento non siamo alleati. Mi sembra che abbiano preferito l’alleanza col centrosinistra, sia per Draghi sia per Mattarella», attacca la leader di Fratelli d’Italia in una intervista al Corriere della Sera. «Sono stati barattati sette anni di presidenza della Repubblica con 7 mesi di legislatura, 7 mesi di stipendi assicurati». All’ultimo vertice del centrodestra, sottolinea, «eravamo tutti contrari alla rielezione di Mattarella». Poi l’annuncio: «Il centrodestra da rifondare e questo è quello a cui lavoro io da oggi. Per non essere più trattati dall’alto in basso da una sinistra sempre più presuntuosa: polverizzato in Parlamento ma maggioranza nel Paese».
Anche la Lega tenta di riposizionarsi. Nei prossimi giorni Matteo Salvini convocherà il Consiglio Federale della Lega. All’ordine del giorno, anche una profonda riflessione sul centrodestra dopo quanto successo a proposito di Quirinale e i troppi voti mancati per la Presidente Casellati. Salvini intende ragionare sul futuro della coalizione, per costruire un progetto di medio-lungo termine. Così riferiscono fonti della Lega. Per Salvini, ora, la prima sfida sarà quella di fare accettare ai militanti leghisti quella retromarcia che lo ha visto passare dalla rivendicazione per il «primo presidente» di centrodestra al sostegno al capo dello Stato uscente.
Dopo la retromarcia di Berlusconi, Forza Italia è stata la principale forza del centrodestra a sabotare l’elezione di Casellati, che fondò il partito e da sempre considerata vicinissima al Cavaliere. Ma molti parlamentari di Forza Italia non volevano rompere l’alleanza di governo, perché non volevano le elezioni anticipate, ed ecco che il partito ne è uscito ancora e sempre più disgregato e lontano dalle idee del suo fondatore.
Nel M5s Conte ha provato a intestarsi la rielezione di Mattarella, sostenendo che quel nome «è stato fatto crescere nella nostra comunità giorno per giorno», e ha affermato di aver condotto le trattative «con serenità, sapendo che c’era questa opzione sul tavolo». Parole arrivate sull’onda di accuse e sospetti interni al Movimento 5 stelle: «Non ho mai fatto trattative sottobanco», ha detto Conte replicando a quanti insinuavano che avesse tramato con Matteo Salvini alle spalle degli alleati “progressisti” per fare cadere il governo e andare alle elezioni. La faglia tra il Movimento di Conte e quello di Di Maio si allarga sempre di più, e i veleni di questa settimana di votazioni potrebbero avere allontanato i due schieramenti interni in maniera irreparabile.
«Credo che nel Movimento 5 stelle serva aprire una riflessione politica interna». Le parole pronunciate da Luigi Di Maio nella serata di ieri, 29 gennaio, a meno di un’ora dalla rielezione di Sergio Mattarella, sono un messaggio chiarissimo a Giuseppe Conte. «Alcune leadership hanno fallito», ha attaccato il ministro degli Esteri. «Per fortuna questo stallo l’hanno risolto il Parlamento grazie anche al contributo del presidente del consiglio Mario Draghi». Si è aperta così una guerra che era latente da mesi: uno scontro tenuto sotto traccia, ma che è scoppiato nelle fasi più delicate delle ultime trattative. «Se Di Maio parla di fallimento, se ha delle posizioni – ha detto l’ex presidente del Consiglio – le chiarirà perché anche lui era in cabina di regia, come ministro l’ho fatto partecipare. Quindi anche lui dovrà chiarire i comportamenti, l’operato e se la sua agenda era condivisa o meno».
Il Pd anni considerato il partito litigioso e diviso in correnti per antonomasia, nel corso di queste elezioni è stato invece sorprendentemente unito, o almeno è riuscito a dare quell’impressione. Letta ha poi lavorato in modo apparentemente allineato con il leader di Italia Viva Matteo Renzi, storico rivale da quando i due si alternarono alla presidenza del Consiglio nel 2014. Da tempo Renzi era descritto ormai in combutta con il centrodestra, ma l’ultima settimana ha ridimensionato questa lettura. È stata solida anche l’intesa con Liberi e Uguali, invece è uscita molto azzoppata la coalizione con il M5s.