L’invasione russa in Ucraina non è solo fatta di bombe, carri armati e sirene che suonano nella notte. L’operazione di Mosca è ben più complessa, e in questi mesi si è mossa con astuzia su Internet. Attacchi informatici e propaganda sono due leve che Vladimir Putin ha usato con forza nel conflitto in Ucraina. Negli ultimi anni la Russia abbia costruito una complessa e articolata macchina di propaganda: lo ha fatto tra le altre cose con organi di stampa controllati dal governo, con blog e pagine sui social network, e con finanziamenti ai partiti occidentali più estremisti e populisti. Tutto questo sforzo informativo è diventato ancora più evidente da quando la Russia ha invaso l’Ucraina e ha intensificato le attività per diffondere la propria versione della storia, attraverso notizie distorte quando non del tutto false.
La Russia non è estranea alla manipolazione dei social media e ha affinato le sue capacità prima delle elezioni statunitensi del 2016. Verso l’esterno la macchina propagandistica del presidente russo ha relativamente perso efficacia, ma entro i suoi confini ha continuato ad imporre la propria narrazione.
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A San Pietroburgo c’è la notissima Internet research agency (Ira), un’azienda impegnata in operazioni di propaganda online per conto di compagnie nazionali e dello stesso Putin. Ha iniziato a operare durante l’occupazione russa della Crimea. Ma ha avuto un ruolo importante anche nelle elezioni americane del 2016. La Ira è stata ribattezzata la fabbrica dei troll, perché capace di creare e gestire migliaia di account falsi sui social network, sui forum di discussione e fra i commenti dei giornali online, per promuovere la propaganda russa.
I conflitti del passato in luoghi come il Myanmar, l’India e le Filippine mostrano che i giganti della tecnologia sono spesso impreparati dinanzi alle campagne di disinformazione sponsorizzate da uno Stato. Spesso è un problema di barriere linguistiche. Ma intanto la fabbrica di fake news agli ordini di Vladimir Putin lavora senza sosta. E utilizza tecniche sempre più sofisticate, come i deepfake che riescono a manipolare un video fino a farlo sembrare reale.
Lo ha fatto in diverse occasioni. Una delle ultime è stata in seguito al bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol, una delle città ucraine più colpite e in difficoltà. La Russia ha sostenuto che l’ospedale fosse vuoto e facesse da base d’appoggio per i nazionalisti ucraini, ma le testimonianze, le immagini delle agenzie di stampa internazionali e i post su Facebook dello stesso ospedale prima dell’attacco mostrano come l’ospedale fosse perfettamente funzionante.
Nelle foto subito dopo l’attacco era stata ripresa anche una influencer ucraina incinta, Marianna Podgurskaya, indicata da varie ambasciate russe come un’attrice assoldata per una messinscena con l’obiettivo di far sembrare l’ospedale attivo. Podgurskaya era anche accusata di aver recitato la parte di un’altra donna fotografata su una barella, anche se si trattava chiaramente di due persone diverse.
Ancora prima, il governo russo aveva diffuso una serie di informazioni false sull’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, la mattina del 4 marzo. In un comunicato del governo riportato da Tass si sosteneva che la Russia fosse già in possesso della centrale prima dell’attacco, e che quindi il bombardamento e il successivo incendio fossero opera di sabotatori e «neonazisti» ucraini. Se tutto ciò fosse stato vero, la Russia avrebbe potuto provocare estesi blackout nella zona alimentata dalla centrale cosa che però non è avvenuta.
E ancora l’agenzia di stampa russa Tass ha giustificato gli attacchi con un articolo in cui sosteneva che fossero stati i neonazisti ucraini i primi a violare il cessate il fuoco, e che poi avessero usato i civili come «scudi umani» quando la Russia aveva risposto. Per spiegare le esplosioni negli edifici residenziali, invece, Tass ha scritto che i neonazisti avevano piazzato armamenti pesanti negli appartamenti e costretto i residenti a restare nelle case. Tutto questo senza fornire prove né citare fonti diverse da quelle ufficiali russe.
Lo stessa schema si è ripetuto dopo un pesante bombardamento avvenuto a Kharkiv, la prima città a essere conquistata dall’esercito russo. Era stata una delle prime occasioni in cui si era capito che la Russia avrebbe bombardato indiscriminatamente e in maniera deliberata edifici civili. I media di stato russi avevano sostenuto però che i bombardamenti fossero partiti da una zona controllata dall’esercito ucraino: il sito di news Readovka aveva pubblicato su Telegram un post in cui accusava l’Ucraina di aver lanciato due missili contro le proprie città. I missili sarebbero partiti da nord-ovest, secondo Readovka, «dove non ci sono lanciarazzi russi».
In un contesto come quello della Russia in cui l’attività giornalistica è stata criminalizzata, e in cui i pochi media indipendenti si sono trovati costretti a non parlare della guerra in Ucraina per evitare conseguenze penali, la costante diffusione di notizie come queste non trova nessun ostacolo. Dal 14 marzo in Russia sarà limitato l’accesso a Instagram, dopo che già era accaduto lo stesso con Facebook e Twitter. In sostanza per la popolazione russa avere accesso a un’informazione alternativa a quella dei media controllati dal governo è diventato impossibile.