Niente crisi di governo, ma lo strappo tra Enrico Letta e Giuseppe Conte è stato lacerante. Ci vorrà tempo per ricucirlo. Per ristabilire quel rapporto di fiducia che già le trattative per il Quirinale avevano incrinato e la polemica sulle spese militari ha precipitato verso il punto di rottura. Esattamente quello che si sta provando a evitare, convinto che in questa fase non si possa mettere a rischio la stabilità del governo e neppure l’alleanza di centrosinistra. Soprattutto in vista delle amministrative del 12 giugno.
Le risorse da destinare alla Difesa non sono più però un tema di discussione, almeno per ora. Il governo ha intenzione di rispettare l’impegno assunto con la Nato nel 2014 di destinate alla sicurezza e alla difesa il 2% del Pil. Traguardo che in realtà nessuno ha messo in discussione. Il punto era quando raggiungerlo. «Il dato importante è che sino all’altro giorno tutti parlavano del 2024 e di 10-15 miliardi come un dogma. Adesso tutti sono convenuti sulla posizione del Movimento, sulla necessaria gradualità. Ora dobbiamo però discutere perché non è sufficiente ridisegnare la curva temporale ora dobbiamo capire quanti soldi metteremo nel prossimo anno, come distribuiremo gli stanziamenti nella curva e dove vanno. Sono tutte questioni che come partito di maggioranza vogliamo discutere», ha detto Conte, aprendo già di fatto il confronto sulle prossime mosse dell’esecutivo a partire dal Def.
Nel mirino dell’ex premier c’è il suo principale alleato: il Pd di Enrico Letta che non ha nascosto il suo sgomento per le modalità con cui Conte si è posto sulla questione delle spese militari. «Pretendo rispetto e dignità. Non posso accettare accuse di irresponsabilità. Non funziona così: non siamo la succursale di un’altra forza politica, non siamo succedanei di qualcuno», ha tuonato battendo la mano aperta più volte sulla scrivania durante una diretta sui social. Dal Nazareno si evita di alimentare ulteriormente le fibrillazioni con l’alleato.
Ma è evidente che la prospettiva di una alleanza strutturale diventa sempre più impraticabile. «Non è il momento delle polemiche, i dem hanno lavorato per tenere unita la maggioranza, perché è fondamentale sostenere l’azione del governo Draghi», è la replica arrivata dalla capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Simona Malpezzi, che enfatizza il sì compatto al decreto Ucraina. A dire il vero tra i pentastellati cè stato il dissenso esplicito del presidente della Commissione Esteri Petrocelli che ha votato contro il Governo e per cui è già partita la procedura di espulsione.
Qual è un effetto diretto dell’allontanarsi – magari momentaneo, ma magari no – tra M5s e Pd? Che nei due partiti aumentano le quotazioni, o perlomeno i desideri diffusi, di un ritorno al proporzionale. Nel caso dei 5 Stelle, in realtà, non sarebbe una novità, nel senso che storicamente il M5S, ai tempi contrario alle alleanze con la “vecchia politica” e quindi alle coalizioni, è sempre stato proporzionalista. Anche se in molte città al voto il “campo largo” resiste. È il caso di Genova, Palermo, Catanzaro, Alessandria.