Adsum viveva con la numerosa famiglia in un affollato condominio in via Centostelle. Era la mattina di Ferragosto, aveva un gran sonno, e sarebbe rimasto volentieri a letto a dormire un’ora in più. La notte appena scorsa aveva avuto un incubo: aveva sognato un collega d’ufficio, Nihil, che lo implorava di aiutarlo. Si era svegliato tutto sudato e non aveva più chiuso occhio. Alle sei in punto era suonata la sveglia e la moglie si era destata come una biscia dal letargo. Era balzata in piedi e aveva cominciato a sbattere porte e finestre. Si era alzato anche lui ed era andato, ancora in mutande, in cucina: i figli erano già a tavola e facevano colazione.
– Caro, il frigo è vuoto.
– Vuoto? Ma se ieri…
– Guarda.
– Ma ieri…
– È finito tutto. Va’ a fare la spesa.
– Ma è festa. I supermercati saranno tutti chiusi.
– Uno aperto lo troverai.
– Va bene. Faccio colazione e vado.
Adsum non osò contrariarla. Laura era tutta casa e chiesa, perennemente stressata per il lavoro da insegnante che svolgeva con abnegazione da più di vent’anni. Anche d’estate la scuola era il suo pensiero fisso. Bisognava capirla. In silenzio perciò bevve il caffè, fece colazione e la toilette, e si vestì di tutto punto. Ritornò in cucina: Laura faceva le pulizie e buttava a colpi di scopa fuori di casa i figli.
– Cara, dov’è la lista della spesa?
– Non la vedi?
– No.
– È sul tavolo.
– Che sbadato! Grazie, tesoro.
Adsum prese la lista e si defilò. C’era aria di tempesta e gli conveniva starle alla larga il più a lungo possibile. A fare la spesa sarebbe andato più tardi. Sotto casa era parcheggiata la sua vecchia utilitaria. Salì a bordo, accese il motore, mise un po’ di musica country e partì alla volta della casa di Nihil.
Adsum passò per Viale De Amicis. Si fermò a un distributore per fare benzina. Domandò a un passante delle indicazioni per raggiungere via Torcicoda, dove abitava Nihil. L’uomo gli spiegò che era nella parte Nord della città. Conosceva poco Firenze nonostante vivesse lì da una vita, e ogni volta che doveva andare in periferia finiva per perdersi. Lì vicino abitava una sua vecchia amante. Pensò che avrebbe potuto fermarsi a salutarla. Risalì in macchina, rifece una strada che conosceva benissimo e che aveva percorso per anni ogni domenica mattina, alla stessa ora, e in quattro e quattr’otto fu in via della Rondinella. Suonò il citofono.
– Chi è?
– Helene, sono Adsum. Ti ricordi?
– Sì. Come stai?
– Sto bene. E tu?
– Sì, tutto bene. I tuoi figli sono cresciuti?
– Sì, sono diventati grandi. Vivi sempre da sola?
– No, ho un compagno.
– Ho disturbato allora… magari stavate…
– No, oggi non c’è.
– Dove è andato?
– È fuori per lavoro. Lui è sempre fuori. Anche a Natale, a Pasqua e a Ferragosto.
– Capisco.
– Come mai sei passato stamattina?
– Tesoro, stamattina mentre andavo in via Torcicoda a casa di Nihil…
– Chi?
– Nihil.
– Non lo conosco, non so chi sia.
Adsum era al citofono con Helene da più di un quarto d’ora. Si sentì ringalluzzire. Erano le ultime pallottole che gli restavano in cartuccia e doveva spararle tutte. Poteva approfittare dell’assenza del compagno di Helene per salire a ricordare i vecchi tempi.
– Sei sola?
– Sì, te l’ho detto.
– Ti dispiace se salgo?
– A fare che?
– Che domande!
– Sono tanti anni che non ci vediamo.
– Per me è tutto avvenuto l’altro ieri.
– Davvero?
– Sì.
– Non sono truccata. Potrei non piacerti più.
– Sei sempre la più bella. Mi fai salire?
Helene taceva. Stava valutando in cuor suo i pro e i contro di quell’incontro. Adsum incrociò le dita, pregò il dio dei non credenti e tutti i santi che conosceva.
– Va bene, ma solo per cinque minuti.
– Aprimi.
Adsum salì di furia le scale. All’ultima rampa la porta era aperta. Era un segnale inequivocabile che aveva lasciato nel suo cuore un segno indelebile e che era pronta ad accoglierlo di nuovo nelle sue braccia. Ripensò ai suoi fianchi sodi e morbidi, che avrebbe riassaporato. Entrò nel salone, ma rimase di sasso.
… Continua… Vi aspettiamo alla prossima puntata!