Poteva andare forse diversamente? Forse. Ma indire le elezioni a giugno non è mai un grande idea per l’affluenza. Farlo in un giorno solo ancora meno. E P fermandosi a meno del 20% di affluenza.
I referendum riguardavano l’ordinamento giudiziario italiano, e alcuni argomenti specifici in materia di processo penale e di contrasto alla corruzione. Erano stati promossi da Lega e Radicali ed erano referendum abrogativi, cioè chiedevano l’abrogazione totale o parziale di leggi o atti con valore di legge esistenti. Per tutti manca il raggiungimento del quorum, mentre il numero di elettori andati alle urne potrebbe essere il più basso di sempre per una consultazione popolare.
A partire dal 2000, su sei volte in cui si è votato per un referendum abrogativo, una sola volta è stato raggiunto il quorum: era il 2011 e gli elettori votarono per quattro quesiti, tra cui quello contro la gestione privata dell’acqua (l’affluenza fu di poco superiore al 50%). L’ultimo referendum abrogativo prima di quelli sulla giustizia fu il cosiddetto “referendum sulle trivelle” del 2016 (l’affluenza fu solo del 31,18%). Per fare un confronto, al primo referendum abrogativo nella storia d’Italia, quello del 1974 sul divorzio, l’affluenza fu dell’87,7%. È andata un po’ diversamente invece con i referendum costituzionali, in cui l’affluenza è stata quasi sempre superiore al 50% (tre volte su quattro), nonostante in questi casi non fosse necessario raggiungere il quorum.
Il primo quesito chiedeva di abrogare la legge Severino nella parte in cui prevede la sanzione accessoria dell’incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di governo dopo una condanna definitiva; il secondo chiedeva di ridurre i reati per cui è consentito il ricorso alle misure cautelari in carcere; il terzo chiedeva la separazione delle carriere dei magistrati, con l’idea di obbligarli a scegliere all’inizio della loro carriera se percorrere la funzione giudicante o requirente; il quarto chiedeva di introdurre la possibilità che negli organi che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati possano votare anche i membri non togati (ovvero avvocati e alcuni professori di materie giuridiche); e il quinto di abolire la raccolta delle firme per presentare la candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura.
Non è sorprendente che i referendum sulla giustizia non abbiano raggiunto il quorum: innanzitutto perché i partiti politici nelle ultime settimane avevano fatto una campagna piuttosto debole, persino quelli che avevano promosso i quesiti. La bassa affluenza si spiega anche col fatto che i temi su cui gli elettori italiani dovevano esprimersi erano molto tecnici e di scarso interesse per molti. Tre quesiti referendari su cinque inoltre trattavano questioni contenute nella riforma della giustizia della ministra Cartabia che deve ancora essere votata al Senato (quelli che riguardano le modalità di elezione dei membri togati del CSM, le modalità di valutazione della professionalità dei magistrati e la separazione delle funzioni).