Oggi porto con me nella mia passeggiata quotidiana Pace di Norberto Bobbio. È un volume piccolo, denso di contenuti, corredato da un testo di Papa Francesco. Il saggio di Bobbio si apre con un capitolo intitolato: ‘Il problema della definizione’. Qui viene messo in relazione il concetto di pace con quello di guerra. Il primo è definito come il termine debole e il secondo come quello forte, in quanto il problema della pace si è posto e si pone in virtù del peso che ha avuto e ha nella storia umana la guerra.
Secondo Bobbio la nostra civiltà è il risultato delle tante guerre (intese come fattore di progresso) che hanno contribuito a modellarla così come si presenta a noi (p.21):
[…] Piaccia o non piaccia, ne siamo o no consapevoli, la nostra civiltà, o ciò che noi consideriamo la nostra civiltà, non sarebbe quello che è senza tutte le guerre che hanno contribuito a formarla […]
A sostegno di questa tesi il filosofo con una logica stringente e un dominio magistrale della parola adduce tutta una serie di esempi: le guerre di Roma, quelle della Riforma e della Rivoluzione francese, e la Seconda guerra mondiale da cui è nata la nostra stessa Costituzione repubblicana. Ogni discorso sulla pace è quindi anche sulla guerra, in quanto la dimensione della guerra e del conflitto è intrinseca alla stessa società umana.
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La riflessione sulla pace nasce per paradosso da quella sulla guerra. L’uomo aspira alla pace perché si è reso conto degli orrori della guerra. Lo stesso ragionamento vale anche per la filosofia: esiste una vasta e antica filosofia della guerra, quella della pace è invece recente e si è sviluppata a partire dalla riflessione di Kant sul problema della pace (pp. 22-23). Il tema della pace è stato trattato di riflesso rispetto a quello della guerra, in quanto la filosofia della storia moderna ha cercato di spiegare le ragioni che portano a una ‘guerra sempre più distruttiva e sempre meno comprensibile nei suoi fini e nei suoi effetti’ (p.23). Il comportamento che va compreso non è quello ordinario ma quello che altera l’ordine o rompe con la morale corrente, cioè quello deviante. Da qui la domanda: perché la pace e non la guerra? Le risposte date a questo interrogativo dalla filosofia della storia rappresentano anche un’indagine sulle ragioni del male nel mondo. Certo, ammette Bobbio con onestà intellettuale (p.33), ridurre il problema della pace solo a ‘non guerra’ rappresenta un limite ma forse la consapevolezza del limite può aiutarci a superarlo e a renderci conto che quello della pace è un problema che l’uomo ancora non è riuscito a risolvere.
La letteratura sulla pace nasce nel momento in cui quella sulla guerra ha esaurito tutte le sue possibilità o meglio quando l’atrocità della guerra spinge l’uomo a riflettere sulla possibilità di una pace perpetua. Il primo filosofo che si occupa di questo tema (lo abbiamo già ricordato) è Kant, che sviluppa alcune questioni affrontate già da Hobbes: egli ritiene che la pace perpetua possa essere raggiunta solo quando gli stati, come già hanno fatto gli individui, usciranno dallo stato di natura e stipuleranno un patto che li unirà ‘in una confederazione permanente’. Il limite del ragionamento di Kant sta nell’aver inteso la ‘confederazione’ come una società di Stati e non uno Stato di Stati. Bobbio con lucidità, spirito critico, a volte con speranza ma più spesso con amaro scetticismo e pessimismo (quest’ultimo atteggiamento forse l’ha ereditato dal pensiero di Machiavelli, più volte citato nel testo) soppesa tutti gli aspetti della questione; dalle sue osservazioni si capisce che egli dubita fortemente delle qualità morali dell’uomo, incline più a ‘offendere’ i propri simili che alla pace. Difatti dopo l’ultimo conflitto mondiale la politica delle grandi potenze non è cambiata, e continua a reggersi sulla ‘minaccia della forza’ (p.66), su un’idea di progresso non morale ma tecnologico, cioè volto a produrre mezzi per ‘distruggere e uccidere’.
L’educazione alla pace non è quindi possibile senza un’educazione morale dell’uomo, intesa come ‘educazione di ogni uomo al rispetto dell’altro uomo’ (p.69). Tale principio, già presente nel profetismo cristiano, e poi ripreso da Kant nell’idea che tutti gli uomini hanno uguale dignità come persone morali, deve portare alla costruzione di un nuovo ordine, e a un cambiamento della natura umana.
Diversa è invece la lezione di Papa Francesco, che parte dalla riscoperta da parte degli uomini del loro rapporto con Dio (p.13):
[…] Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l’arte della pace e la esercitano, sanno che non c’è
riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque. Sempre e comunque: non dimenticare questo! […]
Francesco è maestro di fede e sposta l’attenzione sulla scelta dell’uomo posto in un ordine più grande di lui. Egli è consapevole delle guerre che ci sono nel mondo: nonostante ciò, invita ogni uomo ad apprendere l’arte della pace e a cercarla a tutti i costi. Un richiamo alla responsabilità. Una lezione importante, credo, per tutti noi, specie in tempo di guerra. Specie per chi crede che la pace si raggiunga con la forza delle armi!