– So che siete stati amanti.
– Non è vero.
– Mi ha detto tutto.
Helene aveva vuotato il sacco. Aveva una sola via d’uscita: confessare la verità e buttarsi ai piedi della moglie e implorare il perdono.
– Perdonami, amore!
– Maledetto.
– È stata una storia di molti anni fa.
– Traditore.
– Ti supplico, perdonami. Farò tutto ciò che vuoi.
– Stanotte dormi con i ragazzi.
– Come vuoi tu, cara.
La moglie gli voltò le spalle e se ne andò a letto. Adsum rimase nel salotto a pensare sul da farsi. Poi si coricò con i figli ma non chiuse occhio. Aveva un brutto presentimento. La mattina seguente si levò prima della moglie e dei figli. Fece attenzione a non fare alcun rumore. Come un gatto scivolò dalla camera da letto al bagno. Fece la toilette e poi andò in cucina. Per la seconda volta da quando si erano sposati fu lui a preparare il caffè. Ne bevette una tazza per svegliarsi e il resto lo lasciò nella caffettiera per la moglie. Indossò la solita giacca blu e sempre la stessa cravatta nera che portava decorosamente da almeno vent’anni. Siccome doveva attraversare tutta la città per raggiungere l’ufficio postale, e temeva di restare bloccato nel traffico, uscì come ogni mattina un’ora prima. Giunto in piazza Dalmazia parcheggiò l’auto alla macchia per evitare di dover sborsare almeno dieci euro per la sosta. Prima di andare in ufficio entrò in chiesa. Erano le 7.30 del mattino e non c’era nessuno. Si fermò a fare quattro chiacchiere con Dio. Se ci credeva davvero non lo sapeva nemmeno lui, ma non poteva farne a meno. Quella mattina pregò per l’anima di Nihil, affinché anche un non credente come lui potesse essere accolto nel paradiso dei cristiani e poi per la moglie, perché capisse che quella con Helene era stata solo una scappatella di gioventù. Sono cose della vita e da donna di mondo qual era sicuramente avrebbe compreso. Salutò Dio con un inchino, svoltò l’angolo ed entrò in ufficio. La giornata contrariamente alle previsioni scorse tranquilla e si trovò a sbrigare meno lavoro del solito. Le preghiere del mattino avevano sortito il loro effetto benefico. Alle due Adsum fece la pausa pomeridiana e si fermò al Gambero Rosso in viale Morgagni a mangiare con Carla, la sua segretaria, (per non appesantirsi troppo!) gli spaghetti all’amatriciana. Alle quindici tornò in ufficio e vi restò fino alle diciassette. Per non contrariare la moglie, che era sempre più affaticata per via dei figli che la facevano lavorare come una schiava e che ora ce l’aveva con lui per quella faccenda di Helene, non fece straordinari e tornò in orario a casa. Fu fortunato, non trovò traffico e in venti minuti fu in via Centostelle. Infilò la chiave nella toppa della serratura del portone del condominio. Non prese neanche l’ascensore, ma per fare prima salì a piedi le scale. In casa però non c’era nessuno e in cucina sul tavolo c’era una lettera in una busta chiusa. C’era scritto sul dorso ‘Per Adsum’. La aprì e la lesse. Adsum, dopo che ebbe terminato di leggere la lettera, si sentì venire meno. Gli girava la testa, gli mancava il respiro e per poco non gli venne un infarto. Allentò per respirare il nodo della cravatta e si fece una camomilla per calmarsi. Era accaduta una catastrofe! Era rovinato! Che cosa avrebbe fatto? Dove sarebbe andato a vivere? Dove avrebbe trovato i soldi per pagare l’affitto e dare il mantenimento alla moglie e ai figli? Era stato buttato fuori di casa. Per tutto il resto della sera fu in un totale stato di confusione. Non aveva la forza di fare nulla e si stese sul letto e cercò di riposare. Quando si svegliò era notte fonda e dalla strada gli arrivavano gli schiamazzi di alcuni ragazzacci, che facevano baldoria sotto la sua finestra. Riempì un secchio d’acqua e glielo tirò addosso. Lo presero a male parole e lo costrinsero a barricarsi in casa. Andò in cucina, si fece un caffè forte, prese un libro e lesse fino all’alba. Il giorno dopo andò al lavoro. Al rientro la sera ebbe finalmente le idee chiare sul da farsi. Provò a telefonare alla moglie, ma aveva spento il cellulare. Chiamò a casa del fratello; lo insultò e lo pregò di non telefonare più. A malincuore si risolse a scegliere il partito che aveva scartato fin dal principio: prese le valigie e si preparò ad andarsene. Gli balenò nella mente un’idea. Sarebbe andato da Helene: in nome del loro imperituro amore le avrebbe domandato ospitalità fino a quando non avesse trovato un’altra casa.
– Helene, aprimi.
– Chi è?
– Sono Adsum.
– Tesoruccio, sei tu? Capiti proprio al momento giusto. Ti ho cercato per mare e per terra. Ho tante cose da raccontarti.
– Sapessi io!
Adsum sentì i passi della donna che dalla cucina si precipitava fino all’ingresso. Helene aprì la porta: era in tacchi a spillo e indossava una minigonna mozzafiato.
– Stavi uscendo?
– Non stavo uscendo.
– Sei vestita di tutto punto.
– È il mio nuovo stile. È una questione di decoro. Sono una donna di classe.
– Mi piace questo stile.
Helene non aveva capito quanto era accaduto ad Adsum. Rise e mostrò la dentatura perfettamente regolare.
– Posso entrare?
… Continua… Vi aspettiamo alla prossima puntata!