Nei giorni successivi all’incontro con Marina la moglie di Adsum si rifece viva. Si riaffacciava lo spettro del mantenimento e con la crisi che c’era gli avrebbe risucchiato più di metà dello stipendio. Anche il mese di ferie era finito e si era ritrovato a dover sbrigare tutto il lavoro arretrato, perché non avevano provveduto a sostituirlo e le pratiche sulla sua scrivania si erano accumulate e aveva dovuto fare altri straordinari. Lavorare però gli faceva bene, anche perché a vivere da solo si annoiava un po’. L’ombra di Nihil era ancora in quella casa e passava le giornate a rovistare tra le sue carte: era curioso di sapere se fosse stato a letto con Marina; ma la buonanima era un filosofo e forse si era fatto sfuggire un bocconcino così appetitoso.
Una mattina suonò il citofono.
– Signor Nihil, sono il portiere. C’è una lettera per lei.
– Sì, grazie.
– La trova nella cassetta della posta.
Nel pomeriggio Adsum fece una passeggiata. Al ritorno ritirò la posta. L’avrebbe guardata appena avesse avuto un po’ più di tempo. Telefonò invece a Marina con la scusa di voler ricordare il defunto signor Nihil e la invitò a cena in centro da Nerone e lei accettò. A tavola Marina parlò per tutto il tempo della comunità che frequentava nel Chianti, che stava organizzando un incontro a Napoli.
– Ci andiamo insieme? Penso a tutto io!
– Farebbe questo per me?
– Questo e altro.
– Che uomo galante!
– Però ora devo andare. Ho un po’ di mal di testa. Le dispiace?
– Macché! L’accompagno.
La cosa era fatta e Adsum nei giorni successivi si diede da fare per organizzare al meglio il viaggio per Napoli. Programmò tutto con cura e acquistò lui i biglietti. Non tralasciò alcun particolare. Era certo che sarebbe stata un’esperienza memorabile. La sera prima della partenza ebbe però la sensazione che il fantasma del suo amico cercasse in qualche modo di entrare in contatto con lui. Voleva comunicargli qualcosa e questo pensiero lo tenne sveglio fino all’alba. Alle cinque si levò dal letto; fece la doccia, si rase e si preparò per uscire. Mise il naso fuori della finestra e da una serie di calcoli e ragionamenti sul livello di umidità nell’aria, che gli aveva insegnato a fare il padre, dedusse che avrebbe fatto molto freddo. Era il caso di tirare fuori il cappotto, ma lo aveva lasciato a casa della moglie. Indossò quello di Nihil, che aderì perfettamente al suo corpo, che si era fatto asciutto e ossuto. Verso le otto uscì di casa e andò a prendere Marina. Si fermarono al bar della stazione a fare colazione; poi partirono verso le nove con un regionale, che fece almeno un paio di cambi, e dopo un viaggio lunghissimo (il treno fermò in tutte le stazioni) verso le sedici furono a Napoli.
– Venga.
– La seguo.
– Che caldo!
– Sì, che caldo.
– Qui è primavera tutto l’anno.
– Vero.
Attraversarono Piazza Garibaldi e si diressero verso il rettifilo. Marina si fermò a provare delle scarpe. Non le piacquero e le lasciò sul banco. Adsum si sentiva gli occhi addosso. La donna lo squadrava dalla testa ai piedi.
– Che c’è? Tutto bene?
– Sì, tutto bene…
– Lei somiglia a Nihil.
– Davvero?
– Vestite anche allo stesso modo.
Adsum assunse un’espressione da ebete e finse di non aver inteso. Le sorrise come se la cosa non lo riguardasse. Si mise a canticchiare una canzone e a guardare da un’altra parte.
– Eravamo come fratelli.
– Nihil aveva un cappotto come il suo.
– Stavamo sempre insieme.
Adsum era in visibile imbarazzo. Doveva trovare una scusa plausibile per resistere al fuoco amico di Marina.
– Che strano. Non mi ha mai parlato di lei.
– Avevamo anche gli stessi gusti.
– Lei è comunista?
… Continua… Vi aspettiamo alla prossima puntata!