Oggi piove. Cerco riparo fra le parole di Annie Ernaux. Il ragazzo è un racconto breve: consta in tutto di trentasei pagine. Forse proprio per la sua brevità mi è più caro. Ogni parola è essenziale, a lungo meditata. La protagonista della storia è una donna (alter ego dell’autrice), che con delicatezza e struggimento ricorda una storia d’amore con uno studente, avvenuta cinque anni prima.
Lui le scriveva da un anno, aveva voluto incontrarla, e alla fine lei aveva accolto l’invito (p. 9). Dopo l’incipit, bellissimo e inaspettato, segue uno spazio bianco, in cui riconosce di aver fatto l’amore per obbligarsi a scrivere (p.9):
[…] Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere. Volevo trovare nella fatica, nella derelizione che ne segue, delle ragioni per non aspettare più niente dalla vita. Speravo che la fine dell’attesa più violenta che ci sia, l’attesa di godere, mi facesse provare la certezza che non esiste piacere superiore a quello della scrittura di un libro. […]
La donna ha 54 anni. Lo studente ne ha quasi trenta in meno. Si vedono nel week-end. Fare l’amore per lei è un’occasione di creazione continua. Un’avventura diventa così una storia. Il giovane abita a Rouen, la città dove anche lei era stata studentessa, e che un tempo visitava solo per andare alla tomba dei genitori. Ogni venerdì invece prende l’abitudine di andare da lui, e di restarci fino al lunedì (p.11):
[…] Quando, con mia soddisfazione e sollievo, si è separato dalla sua ragazza, e lei ha lasciato l’appartamento, ho preso l’abitudine di andare da lui il venerdì per restarci fino al lunedì mattina. […] Appena arrivavo, abbandonate in cucina senza nemmeno toglierle dai sacchetti le provviste che avevo portato, facevamo l’amore. […]
La protagonista con rapidi flashback racconta il suo passato, il suo matrimonio, un aborto clandestino. Quello con il giovane diventa ‘un incontro misterioso’, una storia che va vissuta. Lui ha un fervore per lei che non aveva avuto nessun amante (p.16). Senza saperlo porta con sé memorie del suo primo mondo, cioè della sua origine popolare (p. 18). Diventa, per lei che oramai è una borghese, un’incarnazione del passato (p.19):
[…] Portava con sé la memoria del mio primo mondo. Agitare la tazzina di caffè per far sciogliere in fretta lo zucchero, tagliare gli spaghetti nel piatto, affettare alla buona una mela e infilzarne i bocconi con la punta del coltello, tutti gesti dimenticati che ritrovavo in lui, e che mi turbavano. […]
Il giovane potrebbe essere suo figlio: ciò determina un’inversione di ruoli ma anche un ritorno indietro nel tempo. Il suo corpo è senza età. Grazie a lui è ancora giovane, anche se per la gente sono più inaccettabili di una coppia omossessuale. Nell’immaginario comune rappresentano l’incesto (p.18).
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Il vissuto di lei, che ha attraversato il ’68 e altri eventi del Novecento, invece di creare una distanza fra i due colma, invece, di dolcezza il loro rapporto, la loro inattesa relazione. Lui diventa per lei la sua morte (p.31), lei per lui un’iniziatrice alla vita. Inaspettatamente, però, A. (così si chiama il ragazzo) lascia Rouen, e va a Parigi: è il segno che si è concluso il suo ruolo di scoperchiatore del tempo, e che la loro storia d’amore è finita. Con la stessa fulmineità con quale è cominciata.
A., senza saperlo, aiuta la donna a fare i conti con il passato, ad attraversare per mezzo della vita e della scrittura la sofferenza. Le restituisce la libertà, non solo relazionale, ma interiore; l’aiuta a mettere mano a un libro, che esitava a cominciare per la sua ampiezza. Amare ma anche scrivere la libera. Vivere senza scrivere, però, non le basta. Le cose per avere un loro compimento devono essere scritte.
A. è un giovane ma è anche Altro. È il simbolo dell’imprevedibile, della vita nella sua indecifrabilità, della libertà che va oltre le norme codificate. È il simbolo di ciò che potrebbe accadere a ognuno di noi, cioè di incontrare una persona che stravolga la nostra esistenza, che ci spinga a fare i conti con il passato, e magari ci aiuti a ricominciare.