Il Covid torna a fare paura. Con media e virologi che sono prontamente tornati a parlare di curva dei contagi e ospedalizzazioni: «Attenzione a quanto sta accadendo a Pechino, presto potremmo ritrovarci nella stessa situazione». E con il governo Meloni che, nel dubbio, ha deciso di rendere obbligatori i tamponi per chi arriva nel nostro Paese dalla Cina. Una misura che, però, è stata già adottata in passato senza dare alcun frutto. Come spiegato dal Corriere della Sera, infatti, i test all’aeroporto erano stati già adottati tre anni fa, quando dall’Est del mondo iniziavano ad arrivare le prime, inquietanti notizie sul Covid.
L’obiettivo principale è rilevare le varianti e «capire se sono già presenti sul territorio nazionale». Il ripristino dei test era stato deciso per il solo aeroporto di Malpensa dall’assessore al welfare della Lombardia Guido Bertolaso. Risultato: nei primi due voli controllati le percentuali di passeggeri positivi erano del 38% e del 52%. Anche il collega laziale Alessio D’Amato e il presidente della Campania Vincenzo De Luca ieri avevano annunciato misure analoghe per Fiumicino e Capodichino. A quel punto è stato il ministro della salute Orazio Schillaci a prendere l’iniziativa.
Sembra un ritorno al 2020, quando ministri e assessori speravano di tenere il virus fuori dall’Italia con i controlli alla frontiera. Come allora, anche le regole odierne hanno un carattere più che altro demagogico, con una venatura di xenofobia. Non è un caso che le prime a muoversi siano state le regioni in campagna elettorale. Stando ai dati forniti da Airline Data Inc, dal 18 al 28 dicembre i voli diretti dalla Cina all’Italia sono stati appena 13 per un totale di 3.869 sedili: 10 frequenze verso Roma Fiumicino, 3 verso Milano Malpensa. Ma si tratta di una minima parte, visto che molti fanno scalo a Parigi, Francoforte, Helsinki.
Filtrare gli arrivi alle frontiere è dunque impossibile in quanto la gran parte dei passeggeri dalla Cina transita per altri Paesi prima di atterrare in Italia. Secondo il Corriere, la principale porta d’ingresso per l’Italia dalla Cina è lo scalo di Bruxelles: nel periodo 18-28 dicembre ci sono stati 97 voli diretti Cina-Europa (per quasi 28.500 posti offerti), dei quali 14 verso Bruxelles, al primo posto, 13 verso la Germania (come l’Italia), quindi 9 verso la Gran Bretagna, 7 verso la Finlandia. Oltre a Bruxelles, il modo principale per arrivare in Italia dalla Cina è costituito dagli hub mediorentali: si scende a Dubai, Doha e Abu Dhabi e poi si parte per l’Italia. Nello stesso periodo di riferimento ci sono stati 21 voli tra il gigante asiatico e Dubai/Abu Dhabi, per esempio. Ulteriore collegamento tra la Cina e il nostro Paese è quello costituito dal transito all’aeroporto di Singapore: negli undici giorni presi in esame ci sono state 73 partenze dalla Cina alla città-Stato asiatica per oltre 18 mila sedili. Non tutti si sono diretti in Italia, ma una buona percentuale sì. Controllare soltanto chi arriva direttamente da Pechino, dunque, non serve in realtà assolutamente a niente.
Lo sa anche Schillaci, che ha inviato una lettera alla Commissione Ue per «avere un raccordo a livello continentale e estendere simili iniziative su tutto il territorio europeo». Peraltro, bloccare il virus alla frontiera con i test a tappeto non ha grande utilità, visto che sul territorio italiano il decreto «anti-rave» abroga il test antigenico in uscita dall’isolamento. Eppure tutti i partiti condividono il clima di allarmismo che permette alla politica di mostrare i muscoli. «Non va abbassata la guardia – dice il presidente del Veneto Luca Zaia – Bene ha fatto il ministro Schillaci a disporre i tamponi obbligatori per chi arriva dalla Cina. Non dimentichiamoci come cominciò più di due anni fa». Plastico il dietrofront di un infettivologo di area come Matteo Bassetti: se alla vigilia di Natale invitava a non fare tamponi senza sintomi, ieri ha invocato «tamponi e quarantene a livello europeo a chi arriva dalla Cina». Ma anche i dem cadono nella trappola e, invece di smorzare l’allarme, offrono una passerella al governo. «Ci troviamo nel mezzo delle vacanze di Natale, milioni di persone si spostano attraverso l’Italia e l’Europa. Siamo preoccupati», dice la responsabile sanità del Pd Beatrice Lorenzin.
Il timore è che l’elevata circolazione del virus in Cina porti allo sviluppo di nuove varianti. Ma al momento anche questo sembra un pericolo remoto. Secondo Xu Wenbo, direttore dell’Istituto nazionale cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie virali intervistato dall’agenzia di stato Xinhua, «tutte le varianti individuate dall’inizio di dicembre appartengono al ceppo Omicron». Quelle più diffuse derivano dalla variante BA.5, che domina anche in Italia con oltre il 90% dei sequenziamenti secondo l’ultima indagine effettuata dall’Iss e risalente al 13 dicembre. Il problema è che la nostra capacità di sequenziare i campioni virali è tra le più basse d’Europa. Negli ultimi sei mesi, nei laboratori italiani sono stati effettuati appena cento sequenziamenti al giorno in media, pochi rispetto a quanti ne prevede l’ordinanza.
L’allarmismo è però contagioso quasi come il virus. Oltre all’Italia, Giappone, Corea del Sud e India hanno ripristinato i tamponi per chi arriva dalla Cina. Anche l’amministrazione Biden, secondo l’agenzia Bloomberg, sta prendendo in esame l’introduzione di nuovi controlli in entrata.