Addio vecchio reddito di cittadinanza. Il provvedimento, contro il quale il governo Meloni si è scagliato da tempo sostenendo la necessità di un superamento immediato, si prepara infatti a cambiare per sempre nome, forma e sostanza: al posto del bonus introdotto dal Movimento Cinque Stelle arriverà il nuovo Mia, acronimo di “Misura di inclusione attiva”. Il Ministero del Lavoro starebbe lavorando sul testo, che dovrebbe essere discusso in Consiglio dei ministri nelle prossime settimane.
A causa delle tempistiche strette, nel giro di poche settimane la ministra del Lavoro, Elvira Calderone, porterà in Consiglio dei ministri almeno il decreto legge per riformare il vecchio reddito di cittadinanza. Una misura che scatterà già quest’anno, dopo i sette mesi di proroga accordati ai beneficiari del Reddito di cittadinanza con la legge di Bilancio 2023. Possibile, dunque, che Mia possa essere richiesta a partire da agosto o settembre.
Rimane l’ormai nota distinzione dell’attuale governo tra i cosiddetti “occupabili” e “non occupabili”. L’importo massimo al momento previsto è di 500 euro mensili per i “non occupabili”, ovvero quelle famiglie dove è presente almeno un minorenne, un anziano oltre i 60 anni di età oppure un disabile. Per gli “occupabili”, cioè quelle famiglie che non hanno le caratteristiche appena descritte ma che sono composte solo da soggetti con un’età compresa tra i 18 e i 60 anni, la cifra massima è di 375 euro. Gli “occupabili”, in pratica, sono le persone che il Ministero, guidato da Marina Elvira Calderone, ritiene possano trovare un futuro impiego.
Rispetto al Reddito di cittadinanza, è dunque prevista una riduzione dell’importo massimo, che era di 780 euro. Inoltre, si riduce anche l’Isee, lo strumento che permette di misurare la condizione economica delle famiglie: si passerebbe da una cifra inferiore ai 9.360 euro a 7.200 euro. Per quanto riguarda la durata del sussidio, il governo Meloni aveva già accorciato i tempi per i vecchi percettori, passando da 18 mesi a 7 mesi nell’ultima legge di bilancio. Con la nuova misura, la durata torna a 18 mesi per i “non occupabili” ma si riduce a 12 mesi dalla seconda domanda. Gli “occupabili”, invece, potranno ricevere il sussidio per non più di un anno, con una riduzione di sei mesi dopo la seconda domanda. Dopodiché, qualora queste persone non abbiano trovato un impiego, un’eventuale terza domanda potrà essere presentata solo dopo un anno e mezzo.
Tra le modifiche dei requisiti per potere accedere al sussidio, si prevede che la residenza in Italia non sia più decennale come nel Reddito di cittadinanza ma di cinque anni. Questo requisito è stato recentemente oggetto di dibattito, perché alla fine di febbraio la Commissione europea aveva aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Secondo Bruxelles, la residenza decennale «costituisce discriminazione indiretta dei cittadini Ue , dei titolari di protezione internazionale e degli extracomunitari con permesso di lungo soggiorno».
«Vogliamo che la gente possa lavorare e non sia dipendente dal sussidio dello stato», ribadiscono dalla maggioranza. Questo punto resta però un’incognita. Come nel Reddito di cittadinanza, i cosiddetti “occupabili” devono sottoscrivere un accordo con i centri per l’impiego per potere ricevere il sussidio. In caso di offerta ritenuta congrua e con sede di lavoro nella provincia di residenza, se il percettore rifiuta una volta la chiamata, perde il sostegno. L’occupazione gestita dai centri e connessa al sussidio è ciò che non ha funzionato anche con il Reddito di cittadinanza. La nuova misura riuscirà a rendere occupati gli “occupabili”? Visto che il sistema rimane lo stesso, pare difficile.