Sulle inchieste per la gestione dell’epidemia di Covid, Giuseppe Remuzzi , direttore dell’istituto di ricerca farmacologica «Mario Negri», è netto: «Più che addossare la responsabilità a questo o a quello nella gestione di momenti drammatici che chiunque avrebbe avuto problemi ad affrontare con lucidità, non dimentichiamo che negli ultimi trent’anni si è provato in tutti i modi a smantellare il Servizio sanitario nazionale. Il cosiddetto “modello lombardo” era basato sulla logica del mercato, libera scelta e competizione: tutto il contrario di quello che serve in sanità, dove il mercato proprio non funziona. Se ne sono accorti in Inghilterra e persino negli Stati Uniti. Quella logica ha contaminato anche gli ospedali pubblici: se paghi vieni assistito subito, sennò aspetti mesi o anche anni».
Eppure, a tenere banco continuano ad essere proprio le inchieste Covid. Roma, Bergamo e Brescia: tre procure al lavoro per riscrivere, codice penale alla mano, la storia delle stragi del Covid. Tre indagini a cui è toccato e toccherà, nei prossimi mesi, il compito di appuntare in calce se, chi e perché non ha impedito le morti di migliaia di cittadini nei primi mesi dell’epidemia. In quella di Bergamo potrebbe risultare cruciale il «Piano nazionale sanitario in risposta a un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19», che l’allora ministro della Sanità, Roberto Speranza, si era raccomandato rimanesse riservato.
Intanto, anche il nome delle due ex ministre della Salute Beatrice Lorenzin e Giulia Grillo (governi Renzi e Conte 1) è finito nel registro degli indagati della Procura di Bergamo per il mancato aggiornamento del Piano pandemico. Oltre a loro sono indagati anche gli ex direttori generali della Direzione prevenzione sanitaria Giuseppe Ruocco e Ranieri Guerra, e i funzionari Maria Grazia Pompa e Francesco Paolo Maraglino.
Inizialmente erano indagati all’interno della grande indagine che la procura di Bergamo ha condotto negli ultimi tre anni, sulla gestione dell’epidemia di Covid nella primavera del 2020 nella provincia di Bergamo, quella in cui il Covid ha causato più morti durante la prima ondata. Gli atti che si riferiscono a loro sono stati trasmessi alla procura di Roma per ragioni di competenza territoriale. Viene contestato il solo reato di rifiuto di atti di ufficio (articolo 328) punito con la reclusione da sei mesi a due anni (o una multa di 1032 euro) ma che solo in rari casi approda a una condanna definitiva.
Già il 15 settembre 2017, quando ministro della Salute era Beatrice Lorenzin, la Direzione generale prevenzione sanitaria del ministero aveva inviato una nota con la quale «si informava il ministro pro tempore della necessità di predisporre un nuovo piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale», aggiornando quello datato 2006. Lo si legge in un “appunto”, agli atti dell’inchiesta di Bergamo, della stessa Direzione generale del ministero, firmato da Claudio D’Amario e trasmesso nell’agosto del 2018 al capo di gabinetto del nuovo ministro dell’epoca, Giulia Grillo.
I pm bergamaschi, ascoltando Giulia Grillo nel marzo del 2021 come teste, le hanno chiesto conto proprio di quell’appunto del 2018. «Non ricordo il documento che mi mostrate (…) non ricordo che ci sia stato qualche dirigente che sia venuto fisicamente a rappresentarmi la necessità strategica di aggiornare» il piano pandemico. Lorenzin, dal canto suo, ha raccontato, ascoltata dai pm nello stesso periodo, che non fu “notiziata”, quando divenne ministro, dagli uffici ministeriali sulla necessità di aggiornare il piano risalente al 2006. Glielo disse Ranieri Guerra, «solo alla fine del 2017», spiegandole che «stavano procedendo all’aggiornamento del piano». «Quando è scoppiata la pandemia da Covid-19 – ha aggiunto Lorenzin- io credevo che già ci fosse il nuovo piano pandemico».