In questi giorni tutti i giornali stanno parlando dell’addio di Fazio dalla Rai dopo ben 39 anni e 9 mesi. C’è chi parla di una sconfitta per l’autonomia e il pluralismo della Rai. E il diretto interessato, sulla sua rubrica settimanale ospitata da Oggi, parla di un servizio pubblico concepito come un bottino di guerra per i partiti: «La politica tutta si sente legittimata dal risultato elettorale a comportarsi da proprietaria nei confronti della cosa pubblica con pochi riguardi per il bene comune e con una strabordante ingordigia. E non solo per quel che riguarda la televisione».
Ma qualcuno ricorda bene che nel 2000 Fazio non ci pensò due volte ad abbandonare la Rai di fronte a 13 miliardi di lire offerti da La7 (che all’epoca si chiamava Telemontecarlo) per fare un programma con Gad Lerner L’11 settembre del 2001 Telemontecarlo passa poi nelle mani di Tronchetti Provera che, vedendo i co.nti in rosso, optò per rinunciare alle puntate di intrattenimento costosissime di Fazio. La differenza fra La7 di Tronchetti e la Rai è proprio che la prima non può fare a meno degli utili, mentre la Rai è pagata dai contribuenti. Fazio tornò quindi in Rai con 13 miliardi di liquidazione, ma con la coda tra le gambe e tra le polemiche dei sindacati della Rai che si incazzarono dicendo non poteva usare la Rai come una porta girevole.
La memoria di certi giornalisti è selettiva: oggi parlano dei 40 anni del conduttore alla Rai, ma se fosse stato per lui l’esperienza con la tv pubblica sarebbe finita nel 2001. Nessuno ricorda la sua esperienza a La7 e nessuno parla di quanto il programma costasse alla Rai, essendo il programma più caro di Rai 3.
Ed è alquanto strano che, dopo un triennio di informazione omologata ai dogmi sanitari, Fabio Fazio, che ha consentito a Roberto Burioni di imperversare sull’etere senza contraddittorio, o che ha ospitato a ripetizione l’allora ministro Roberto Speranza fornendogli assist più che rivolgendogli domande, passi per un “martire della libertà” e che il suo trasferimento su un’altra rete venga raccontato come una ferita alla democrazia.
Siamo ancora di fronte a notizie costruite ad uso e consumo di una certa narrazione ideologicamente orientata. Il tipo di programma congegnato da Fazio non può essere definito in maniera semplicistica “garbato”, ma piuttosto ovattato, anestetizzato, incentrato su alcune opinioni e mai su quelle contrarie. E le puntate di Che tempo che fa andate in onda nei tre anni di Covid ne sono testimonianza.