Penso a quanti, artisti, scrittori e poeti stranieri hanno varcato lo Stretto, attratti dai racconti misteriosi e a tratti mitologici sulla Sicilia. Una terra di conquista e di saccheggio, mare e terra ferma, culla di civiltà e culture millenarie, luogo di contaminazione e fusione, scrigno di storia e tradizioni. E poi penso a chi da essa continua a trarne ispirazione per la sua arte. Ghvmbert Catholicvs è figlio di questa terra, e la tratteggia e dipinge nelle sue opere.
Ghvmbert Catholicvs, nome d’arte di Umberto Maria Goffredo Guglielmo Martorana, completa gli studi in Francia, Germania e Regno Unito. Espone per la prima volta nel 1982 in una personale al Palazzo Corvaja di Taormina, successivamente tiene mostre di pittura personali e collettive in Europa e nel resto del mondo, ottenendo diversi premi nazionali e internazionali. Per “The Exposure Award”, al Museo del Louvre di Parigi, è stata esposta una sua foto della Sky Collection. Le sue opere fanno parte di collezioni private, Enti Pubblici e nella collezione museale permanente dell’Ars a Palazzo dei Minoriti di Catania. Pittura, scultura, illustrazione e fotografia, fanno parte del suo bagaglio artistico culturale. Scrive libri con il nome d’arte di Ghvmbert Catholicvs. Ultimo il racconto “Il figlio del Paradiso” edito da Contanima.
Come nasce artisticamente Ghvmbert Catholicvs?
«Nasce dalla mia nascita! Sono un autodidatta. Attratto dal bello, dall’armonico, ho sempre disegnato cercando di riprodurre quello che vedevo mettendo nel disegno un’anima. Poi l’immagine è stata sostituita dalla facoltà della mia mente di rappresentare cose e fatti non corrispondenti alla realtà: mi perdevo e mi perdo in capricci inventati dalla mia immaginazione. Il tempo, le esperienze della vita ci trasformano. Cambiano alcuni valori. Ci sono pittori che seguono i loro cambiamenti, le loro ispirazioni, la loro creatività come Picasso, De Chirico, Mirò e altri che hanno dei periodi; blu, cubismo, metafisicò, astratto: io appartengo a questi ultimi. Io rappresento le mie emozioni».
Chi sono stati i suoi maestri?
«Da bambino venivo accompagnato da un cameriere per andare a posare per un mio ritratto nello studio del grande maestro Angelo Geleng, figlio di Otto (colui che traghettò Taormina da villaggio di pescatori a città turistica). Mi affascinava vedere quell’uomo, ormai avanti con gli anni, che intingeva il pennello nei pigmenti, li trasferiva sulla tela dove i colori mischiati assumevano tinte e disegni marcati, e tonalità più o meno intense, vivaci, sgargianti; poi la saturazione cambiava e la superficie diventava un occhio, un fiore, un vulcano… È in quell’atelier che la scintilla dell’arte si è impossessata di me in una passione divoratrice».
Le viene in mente qualche altra esperienza?
«Penso a Teresa Hughes che ha fatto un mio ritratto e mi insegnava i primi rudimenti della pittura ad olio. A villa Arcadia (il locus amoenus dei pastori virgiliani delle Bucoliche) Nora Sperotti mi ha insegnato sia le tecniche del disegno, della prospettiva e dell’abbinamento che l’applicazione di differenti pigmenti tra loro possono dare ai colori».
Perché ha scelto come nome d’arte Ghvmbert Catholicvs?
«Umberto Maria Goffredo Guglielmo Martorana. Quando studiavo a Parigi ero identificato come G. Humbert Martorana: così è nato Ghumbert. Papà era di Cattolica Eraclea. Non volendo usare il cognome ho scelto il di Cattolica. Ghumbert di Cattolica è il mio pseudonimo di quando dipingo, fotografo, scolpisco, ecc. Quando studiavo a Londra firmavo le mie opere con lo pseudonimo di Crys O’ Comes, che lessi aveva a che fare con il Sole. Potevo fermarmi lì? No! Siccome sono una persona semplice e di poche pretese ho pensato che Ghvmbert Catholicvs fosse il più appropriato da usare quando scrivo».
Quali sono a suo giudizio i tratti distintivi della sua pittura?
«Il mio linguaggio pittorico è un viaggio emotivo nella memoria, fatto di sogni, di magia. Quelli figurativi non stimolano la mia creatività e dunque non assaporo il piacere dell’inconscio, o di un riscatto della mia creatività».
Quando dipinge?
«Quando sono folgorato da un’idea. L’idea diventa un fuoco, spesso cenere di memoria. Non è una routine».
Dove dipinge?
«Nel mio atelier. Ho bisogno di isolarmi dal mondo. La stessa cosa vale per quando scrivo: ho bisogno la quiete del mio studio o di essere stordito dalla musica che mi porta in un oceano di note fluttuanti che amplificano i concetti. Spesso, seduto nella mia terrazza, quando faccio la prima colazione, ho delle ispirazioni che poi elaboro».
Come percepisce la Sicilia?
«Vedo la Sicilia come una tana dove posso rifugiarmi. Mi lusinga l’intimità della mia casa. La Sicilia mi è madre, mi ha nutrito: l’amo! Non sono solo il figlio del Paradiso ma anche di Gorgia, Empedocle e Pirandello. La Sicilia è una inesauribile fonte d’ispirazione. So apprezzare la sua natura, storia, archeologia, architettura. Sono affascinato dalle sue leggende, dalla sua cultura, dai suoi riti paganeggianti ma so riconoscere la grettezza e l’ignoranza che esiste, che porta alla violenza».
Come si definirebbe?
«Un solitario spettatore in un teatro cullato dai soavi effluvi del gelsomino d’Arabia. Questo teatro accoglie commedie e tragedie. Una di queste ha bisogno delle luci del palcoscenico: è un’organizzazione retta da omertà. Nella sua liturgia scenica ha bisogno degli applausi di una parte della popolazione perversa. A nulla servono i fischi, i lamenti, la vergogna per l’onore perduto della gente sana, onesta, produttiva e intellettuale».
Cosa pensa della pittura contemporanea italiana?
«Non ho un parere positivo. Ultimamente viaggio raramente. Non ho molte occasioni per visitare musei d’arte. Ho conoscenza dell’arte contemporanea da riviste che si fregiano con il nome d’arte. Spesso con l’arte vera, però, non hanno alcuna relazione. I musei d’arte contemporanea sono per lo più in mano a critici d’arte che cercano di sbalordire, meravigliare lo spettatore».
Penso a un foglio bianco… cos’è per lei la scrittura?
«Un foglio bianco… un segno guidato dalla mano, a sua volta dalla creatività. Cosa rappresenta quel segno? Un disegno o una lettera dell’alfabeto? Entrambi raccontano una storia visiva, che vista, letta o parlata trasmette un’emozione, un’evasione, una magia. Scrivere, narrare con la penna o con i pennelli è la mia vita; essenza e bisogno a cui non potrei fare a meno: «Ego cogito, ergo sum, sive existo.» «Io penso, dunque sono, ossia esisto.» Cartesio m’insegna».
Progetti futuri?
«Dopo il mio ultimo racconto “Il figlio del Paradiso”, edito da Contanima, aspetto di poter pubblicare gli altri racconti della mia gioventù. Attualmente sto lavorando a due nuovi libri. Uno è di narrativa. Riguarda le personalità straniere che sono state ospiti a casa mia. Un caleidoscopio di personaggi dissimili fra loro ma tutti affascinanti per la loro personalità e la loro storia. È un omaggio postumo al mio amico Raleigh Trevelyan. Mi è stato domandato dal reverendo John Price, vicario della chiesa anglicana Saint George della mia città e dai miei amici Caterina Napoleone e dal principe Jonathan Doria Pamphilij».
E l’altro?
«Un romanzo di fantasia, ambientato in Sicilia e Spagna alla metà del 1500. Ma c’è anche una mostra in programma per il prossimo anno e altre manifestazioni artistiche che ci saranno già da questo settembre».