È morto l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Aveva 98 anni. Ex presidente della Camera e ministro dell’Interno nel governo Prodi, parlamentare di lungo corso ed esponente della corrente “migliorista” del Pci, è stato il primo Capo dello Stato ad essere stato eletto due volte, nel 2006 e poi nel 2013 per due anni. Napolitano era in condizioni di salute precarie da molto tempo per via dell’età, e si era aggravato negli ultimi giorni: al momento della morte si trovava nella clinica privata Salvator Mundi a Roma.
Per decenni esponente di spicco del Partito comunista italiano nella cosiddetta Prima Repubblica, poi presidente della Camera e ministro dell’Interno dopo il 1992, Napolitano raggiunse il massimo della sua influenza politica in tarda età, durante il primo mandato da presidente della Repubblica in cui si trovò a gestire momenti delicati dal punto di vista politico e turbolenti dal punto di vista economico. Benché sia sempre rimasto all’interno dei dettami costituzionali, che prevedono un allargamento dei poteri del capo dello Stato nei periodi di maggiore instabilità del sistema politico, Napolitano è ricordato come un presidente della Repubblica particolarmente interventista. Durante il periodo della crisi dei debiti sovrani, che rischiò di far collassare l’economia italiana nel 2011, spinse per far dimettere l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nominando poi un governo tecnico presieduto da Mario Monti.
È stato l’undicesimo presidente della nostra storia repubblicana. Con un bis nel 2013 nato fra gli applausi delle Camere riunite e chiuso, un paio d’anni più tardi, in un clima paradossale. Perché si ritrovò assediato da accuse di forzature, scostamenti costituzionali e addirittura intrighi: un bombardamento politico e mediatico che gli parve «pianificato ad arte» per delegittimare i suoi sforzi di evitare che il sistema entrasse in torsione. Sui giornali e tra i critici si cominciò a chiamare Napolitano “Re Giorgio”, un soprannome che poi avrebbe assunto in parte anche connotati positivi.
Giorgio Napolitano nacque a Napoli il 29 giugno del 1925 in una famiglia della borghesia, tre anni dopo l’inizio del ventennio fascista. Il padre, Giovanni, era un avvocato e poeta, originario di Gallo di Comiziano, un piccolo paese della provincia di Napoli. La madre, Carolina Bobbio, era di origini piemontesi. Nei primi anni di vita abitò a Napoli, in via Monte di Dio, nei Quartieri Spagnoli a pochi passi da piazza del Plebiscito. Fece il liceo classico e si laureò in giurisprudenza all’Università di Napoli Federico II nel 1947 con una tesi di economia politica sul «mancato sviluppo del mezzogiorno».
Durante l’università Napolitano scrisse articoli per la rivista dei Gruppi universitari fascisti (GUF), un gruppo studentesco di volontari, e prese parte alle attività teatrali e cinematografiche. Recitò in alcuni spettacoli e scrisse sonetti in dialetto napoletano con lo pseudonimo di Tommaso Pignatelli. Nel PCI Napolitano fece a lungo parte della corrente riformista, favorevole alla cosiddetta “via italiana al socialismo”. Il principale esponente riformista era Giorgio Amendola, ma dopo la sua morte, negli anni Ottanta, Napolitano fondò la sua corrente di cui restò a lungo il capo: i “miglioristi”. Il “migliorismo” derivava il suo nome dall’idea che fosse possibile “migliorare” gradualmente il capitalismo, attraverso una serie di riforme da portare avanti con una partecipazione attiva al governo.
Poi nel 1953 venne eletto per la prima volta al parlamento: da allora e fino al 1996, con l’unica eccezione della IV legislatura, venne sempre rieletto nella circoscrizione di Napoli. Per Napolitano furono anni in cui si distaccò sempre più dalla vita operativa nel partito per diventare una figura più istituzionale, una sorta di padre nobile della sinistra che potesse assumere cariche importanti per cui era richiesta una certa imparzialità. Nel 1992 venne eletto presidente della Camera, in piena crisi politica dovuta agli scandali di Tangentopoli e ai processi dell’inchiesta “Mani Pulite”. Durante il primo governo Prodi divenne il primo ministro dell’Interno proveniente dal PCI.
Nel 2005 venne nominato senatore a vita e l’anno successivo diventò l’undicesimo presidente della Repubblica, eletto alla quarta votazione con 543 voti. All’inizio il suo mandato filò senza troppi scossoni, poi nel 2010 cominciò la crisi dei debiti sovrani. Il governo era presieduto da Berlusconi, che non sembrava avere piena contezza della gravità della situazione, nonostante gli avvertimenti della Commissione Europea e degli altri capi di governo. Napolitano, si scoprì poi, aveva già sondato le possibilità di sostituire Berlusconi in estate. Berlusconi si dimise però soltanto il 9 novembre successivo, e Napolitano, sposando in pieno le indicazioni dell’Europa, nominò presidente del Consiglio l’economista Mario Monti. Disse che la cosiddetta austerity, fatta di tagli all’economia e rigore di bilancio, era necessaria e che sarebbe stato un periodo di sacrifici per l’Italia. Per il modo con cui gestì la situazione e per l’immobilismo che stava attraversando il sistema politico di allora, alla scadenza del settennato Napolitano venne rieletto contro la sua volontà, a patto che da lì in avanti tutta la politica si impegnasse a portare avanti le riforme che servivano al paese.
Si aprì un’altra fase di instabilità, perché c’erano appena state le elezioni nel febbraio precedente. Ne era uscito un quadro frammentato in tre poli, da un lato il centrodestra, dall’altro il centrosinistra, e in mezzo il Movimento 5 Stelle che non aveva intenzione di allearsi con nessuno. La formula che venne trovata fu un governo “di larghe intese” tra centrosinistra e centrodestra: individuò nel segretario del PD, Enrico Letta, la figura che avrebbe potuto mediare tra le due parti. Il governo Letta però durò poco a causa dei sommovimenti interni al Partito Democratico. A gennaio del 2014 Matteo Renzi diventò segretario del PD, mettendo Letta in minoranza, e il mese dopo fece cadere il suo governo. Di fronte a tutto questo Napolitano non ebbe un ruolo molto attivo, si limitò a dire che le sorti del governo dipendevano dal PD. La direzione del partito decise che Letta si doveva dimettere e Napolitano sancì la situazione nominando Renzi nuovo presidente del Consiglio.
A gennaio dell’anno successivo Napolitano si dimise dalla sua carica: prima di lui lo avevano fatto solo Antonio Segni, Giovanni Leone e Francesco Cossiga. Nel discorso di fine anno del 2014, Napolitano aveva detto: «A quanti auspicano – anche per fiducia e affetto nei miei confronti – che continui nel mio impegno, come largamente richiestomi nell’aprile 2013, dico semplicemente che ho il dovere di non sottovalutare i segni dell’affaticamento e le incognite che essi racchiudono, e dunque di non esitare a trarne le conseguenze». Gli succedette Sergio Mattarella, ancora oggi in carica, anche lui al suo secondo mandato.