Aurora Cubicciotti, un’artista di origini pugliesi, che si è formata fra Taranto (è vissuta lì fino a 16 anni), Salerno e Napoli. Oggi vive e lavora a Parma. Artista fra innovazione e tradizione ha una grande capacità espressiva ed emotiva. Il suo linguaggio artistico dialoga con il passato e allo stesso tempo è altamente moderno. Il suo è un mondo di figure (rappresentate con estrema precisione e con una cura attentissima della forma e una ricerca sapiente e attenta del colore), volti e corpi che nei loro sguardi hanno tutta l’inquietudine del presente e il dramma viscerale di una ricerca di senso e spiritualità.
L’abbiamo intervistata per i lettori di Pickline.
Cosa ti ispira, Aurora?
«Mi ispira tutto ciò che ha a che fare con la spiritualità. Anche in un semplice ritratto mi piace cogliere l’anima. Non è detto che ci riesca ma è quello l’obiettivo».
Sei un’artista diurna o notturna?
«Le mie opere nascono soprattutto di notte, in quei minuti che anticipano il sonno. Soffro molto d’insonnia e a volte passa anche più di un’ora prima che io mi addormenti.»
Cosa ti accade in quei momenti?
«Penso, immagino, viaggio con la fantasia, ricordo ciò che ho visto e cosa potrei rappresentare ma anche come farlo».
Quindi dipingi di notte?
«No, purtroppo dipingo esclusivamente con la luce di Dio (mi piace definirla così!). Non riesco a lavorare di sera o di notte con lampade artificiali. Ne ho provate di ogni tipo ma tutte modificano i colori».
C’è un luogo che prediligi?
«Per scelta dipingo nella stanza in soffitta. È la parte più piccola della casa ma lì c’è qualcosa che per me è molto prezioso: il lucernario. Pongo il mio cavalletto sotto la luce e i miei colori non sono mai alterati. Quindi dipingo solo durante il giorno».
Suppongo tu abbia cominciato prestissimo…
«Sì, fin dalle elementari. La maestra mandò a chiamare mia madre perché non seguivo le spiegazioni ma ero sempre a fare ritratti ai compagni o a disegnare».
Come ci si sente a essere un’artista?
«Bah, credo di essere molto umile! Chi mi conosce sa che non parlo mai di me e nemmeno esalto il mio lavoro. Se un quadro comunica emozioni allora lo considero un lavoro riuscito, altrimenti posso usare tutte le parole del mondo ma se non emoziona ho fallito nel mio obiettivo».
Il tuo è un linguaggio pittorico di ricerca?
«Sì. Chi conosce bene le tecniche pittoriche (non mi riferisco ai critici bensì a altri pittori come me) sa capire quanta ricerca c’è nel mio lavoro».
Ad esempio?
«Beh, nell’uso delle resine, nella mia ricerca dei verdi, delle velature, ecc. Non è una semplice pittura a olio su tela ma un’infinita sovrapposizioni di tecniche e colori».
Quindi il mezzo conta più del fine?
«No, per me il mezzo è importante tanto quanto il fine: si può rappresentare anche una semplice mela ma è la materia pittorica che la distingue dalla stessa rappresentazione fatta da un altro artista».
Velature ma anche fondali marini… Sono molto presenti nella tua ultima pittura?
«Sì, in quest’ultimo periodo mi sto dedicando ai mondi sottomarini, ai personaggi fantastici che nella mia immaginazione abitano i fondali del mare. Un mare cristallino, con dei verdi come quelli della Puglia, il mio mare. Fiori, pesci, fondali, colori tutto ciò che nella mia fantasia vive sott’acqua».
E le donne cosa simboleggiano?
«Le donne che rappresento sono le stesse che sulla terra forse non hanno avuto fortuna ma ora nell’eterno degli abissi hanno una vita felice. Nessuno può più strappare loro la serenità, e soprattutto la loro libertà».
È una bottiglia, quindi, con un messaggio lanciata in mare?
«In un certo senso sì. È un messaggio contro la violenza sulle donne ma la rappresentazione in questo caso è molto più velata…esattamente come la mia tecnica pittorica, fatta da mille velature».