Era uno degli ultimi irriducibili della camorra casalese, custode di importanti segreti, ma dopo 26 anni di prigione, la maggior parte trascorsi in regime del carcere duro, Francesco Schiavone, indiscusso capo dei Casalesi, ha deciso di collaborare con la giustizia. Lo riporta l’edizione cartacea del quotidiano “Cronache di Caserta”. Ma la notizia è stata confermata dalla Direzione nazionale antimafia.
Per una vaga somiglianza con l’attore Kabir Bedi che interpretava “la Tigre della Malesia” in uno degli sceneggiati televisivi più famosi della storia della televisione italiana, è stato soprannominato Sandokan. Schiavone oggi ha settant’anni ed è in carcere dal 1998. È sottoposto al 41bis, un regime carcerario molto duro introdotto nel 1992 proprio per contrastare la criminalità organizzata. I detenuti al 41bis non possono fare praticamente nulla: per quasi tutto il giorno rimangono in isolamento nella propria cella, generalmente molto piccola, e i contatti con l’esterno sono ridotti a brevi colloqui mensili.
Nato a Casal di Principe il 3 marzo 1954, Schiavone inizia da giovanissimo la sua carriera criminale diventando l’autista di Umberto Ammaturo. Il suo primo arresto arriva all’età di 18 anni: finisce in carcere per detenzione di armi. Negli anni ’80 arriva il salto di livello entrando a far parte della Nuova Famiglia di Antonio Bardellino e Mario Iovine, in lotta con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, per conto della quale gestì vari traffici illegali di armi, droga e rifiuti sia in Italia che all’estero e partecipò a guerre e scontri tra clan. Negli anni è stato accusato di associazione a delinquere, omicidio, occultamento di cadavere, porto abusivo di armi e una serie di altri reati minori. È stato ritenuto responsabile, tra gli altri, dell’omicidio di Saverio Iannello, un agricoltore ritenuto vicino al clan camorristico di Raffaele Cutolo, e del vigile urbano Antonio Diana.
Dopo anni di latitanza, Schiavone venne arrestato l’11 luglio del 1998 in un bunker a Casal di Principe. In seguito divenne uno dei principali imputati del noto processo Spartacus, che si svolse tra il 1998 e il 2010 a carico di vari membri del clan dei Casalesi. Nel 2010 ricevette la prima condanna definitiva all’ergastolo.
Negli ultimi anni alcuni parenti di Schiavone, anche loro legati alla mafia e condannati al carcere, avevano già deciso di collaborare con la giustizia: nel 1993 lo fece Carmine Schiavone, cugino di Francesco, e le sue dichiarazioni contribuirono a far partire le indagini del processo Spartacus. Negli ultimi anni anche due figli di Francesco Schiavone hanno deciso di collaborare: Nicola, nel 2018, e Walter, nel 2021. I collaboratori di giustizia sono persone condannate, generalmente per reati di mafia, che decidono di confessare alle autorità quello che sanno sui meccanismi interni alla criminalità organizzata per ottenere sconti di pena o altri benefici.
Fino a poco fa Francesco Schiavone era detenuto nel carcere di Parma. A marzo è stato trasferito al carcere dell’Aquila, in Abruzzo, dove si trova tuttora e dove ha iniziato a collaborare con la giustizia.
La decisione potrebbe anche essere un messaggio a qualcuno a non provare a riorganizzare il clan, un modo per mettere una pietra tombale sulle aspirazioni di altri possibili successori. La collaborazione di Francesco Schiavone potrebbe far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’uccisione in Brasile nel 1988 del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica.