La variante Omicron, identificata inizialmente in Sudafrica, sta attirando l’interesse dei gruppi di ricerca e delle istituzioni per l’alto numero di mutazioni che contiene e la sua apparente capacità di diffondersi molto velocemente. Dal Medical Research Council del Sudafrica arrivano i primi: i sintomi sembrerebbero meno gravi rispetto alle altre forme del virus, ma la contagiosità più elevata.
I dati sono preliminari si basano su una fotografia datata 2 dicembre che riguarda 42 pazienti ospedalizzati e su un’analisi di altri 166 pazienti ricoverati tra il 14 e il 29 novembre 2021 nei complessi ospedalieri di Steve Biko e Tshwane District a Pretoria . I ricercatori sottolineano come non ci sia una conferma che tutti i casi siano di Omicron dal momento che non è stata effettuata l’analisi genetica dopo un tampone «S negativo», caratteristico della nuova variante, tuttavia il National Institute for Communicable Diseases in Sudafrica ha confermato che nel distretto esaminato, il Guateng, il 74% dei campioni sequenziati nelle ultime tre settimane di novembre riguarda Omicron.
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I funzionari sanitari in Sudafrica affermano che la nuova variante sia già dominante: un mese fa il Paese aveva meno di 300 nuovi casi al giorno, oggi siamo a 16 mila. Il 25% dei tamponi effettuati risulta positivo, due settimane il tasso di positività era al 2%.
La rapida diffusione di Omicron (che sembra avere un Rt quasi 2,5 volte più alto di Delta), potrebbe essere dovuta anche a un periodo di incubazione più breve, ma l’ipotesi dovrà essere confermata da futuri studi sulle catene di trasmissione, oltre che alla sua maggiore capacità di aggirare le difese immunitarie indotte da infezione o vaccino.
Dal report emerge che la maggior parte dei pazienti ospedalizzati non ha avuto bisogno di ossigeno supplementare, pochi hanno sviluppato la polmonite da Covid o hanno richiesto cure importanti, ancor meno sono stati ricoverati in terapia intensiva. Fra i 42 della prima analisi solo nove sono stati trattati per il virus e hanno avuto bisogno di ossigeno: otto erano non vaccinati, uno era un bambino. Soltanto uno dei 42 è stato ricoverato in terapia intensiva. Dall’analisi di tutti i 166 pazienti con coronavirus nel complesso di Biko-Tshwane tra il 14 e il 29 novembre è emerso che la durata media della degenza ospedaliera è stata di 2,8 giorni (meno del 7% i decessi), molto più breve degli 8,5 giorni medi registrati degli ultimi 18 mesi (con decessi al 17%). Ricoveri brevi significano anche meno stress per gli ospedali.
Il dato di malattia lieve che si è visto a Pretoria è rafforzato dai numeri che riguardano l’intera provincia di Guateng. L’8% dei pazienti positivi al Covid è in cura in terapia intensiva, in calo rispetto al 23% registrato durante l’ondata di Delta. Solo il 2% utilizza ventilatori, in calo rispetto all’11%.
Gli esperti di tutto il mondo invitano però a leggere questi report con cautela perché ci vorrà ancora tempo per mettere a fuoco il vero profilo di Omicron e non va dimenticato che in Sudafrica vive una popolazione più giovane di quella europea, quindi meno suscettibile a una malattia più grave da Covid. Inoltre come insegnano le precedenti ondate l’impatto del coronavirus non si fa sempre sentire immediatamente, con ricoveri e decessi spesso in ritardo rispetto ai focolai iniziali.