A un anno dall’invasione russa dell’Ucraina le condizioni del conflitto sono cambiate profondamente. I piani della Russia, che inizialmente sperava di rovesciare il governo democraticamente eletto dell’Ucraina in poche settimane con una “guerra lampo” sono falliti, e la guerra si è trasformata in un ampio conflitto con conseguenze enormi in tutto il mondo.
Il 24 febbraio 2022 la guerra è tornata in Europa. Alle 5:05 ora locale, le sirene anti-aeree e il frastuono delle prime bombe sganciate dall’aviazione russa hanno svegliato l’intera popolazione dell’Ucraina. Al contempo, le prime truppe invadevano il territorio e i primi militari cadevano al fronte. Se inizialmente l’avanzata delle truppe del presidente russo Vladimir Putin è apparsa rapida e quasi inarrestabile, nei giorni successivi l’esercito di Kiev ha consolidato le proprie posizioni difensive e contrattaccato riconquistando parte dei territori persi. Nei mesi successivi numerose città sono passate di mano, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ottenuto corposi aiuti militari dalle nazioni occidentali e dalla Nato, mentre la Russia è stata sottoposta a numerose sanzioni. Che tuttavia non sembrano essere riuscite a convincere il Cremlino a cambiare strategia.
Il dibattito intorno alla guerra resta fortemente polarizzato e segnato da quel paternalismo, un po’ coloniale, che afferma che piccoli paesi vanno sacrificati nel nome dei pacifici rapporti tra le potenze. Con ogni evidenza l’intenzione degli Usa era ed è di usare l’Ucraina come campo di battaglia contro la Russia con il consenso dell’Unione europea. Chiedersi se le nostre società democratiche abbiano contribuito all’escalation del conflitto è un giusto esercizio politico ed etico, purtroppo le risposte che spesso vengono fornite sono ambigue e non in grado di mettere in luce gli errori dell’Occidente.
Per la prima volta infatti l’Unione europea e l’Italia hanno fornito armi ed equipaggiamenti militari ad un Paese terzo. L’Italia ripudia la guerra, come recita l’articolo 11 della Costituzione, ma può trovare i modi per aggirare questo facilmente questo divieto. Il decreto del Governo Draghi si è appellato infatti agli articoli 3 e 4 del Trattato Nordatlantico che consentono agli Stati membri di aiutarsi per accrescere la loro capacità individuale e collettiva di resistere ad un attacco armato. Si tratta quindi di un’interpretazione del tutto arbitraria di questi articoli, tenuto conto che l’Ucraina non appartiene all’Alleanza atlantica.
Si è da poco conclusa la passerella in Ucraina del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Un viaggio organizzato in maniera piuttosto scenografica, prima con il pellegrinaggio nelle località di Irpin e Bucha e poi con la conferenza stampa congiunta insieme al Presidente ucraino Volodymir Zelensky. Nel gergo del Governo italiano c’è spazio solo per un supporto militare incondizionato fino alla vittoria dell’Ucraina. Come ha ribadito più volte la stessa Giorgia Meloni in conferenza stampa, «l’obiettivo dell’Italia è la vittoria di Kiev».
Giorgia Meloni fa poi riferimento ad un fantomatico piano di pace che l’Ucraina avrebbe presentato e che sarebbe la prova degli sforzi di Kiev per porre fine alla guerra. Si tratta in realtà di un documento redatto dall’Ucraina senza alcun tipo di confronto con la controparte russa e per questo già di per se inaccettabile. Il piano, suddiviso in 10 punti, non tratta infatti la questione dei territori contesi del Donbass. Nel piano si parla in maniera generica del rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Cosa significa questo? Significa fare addirittura un passo indietro rispetto agli accordi di Minsk, sottoscritti da entrambe le parti, ma mai rispettati, che almeno garantivano lo status speciale a Donetsk e Lugansk. Non finisce qui. Perché nel piano di pace ucraino è previsto l’inserimento di Kiev all’interno di un sistema di alleanze euroatlantico, quindi il preludio per l’ingresso nella Nato. Una delle ragioni che ha spinto la Russia a dare il via alla cosiddetta operazione speciale in Ucraina.