Ritorno alle urne in caso di sfiducia del premier eletto e per quello di riserva invece solo una chance di dare vita a un nuovo esecutivo. Sono le principali novità della norma anti-ribaltone contenuta nel ddl premierato. La maggioranza di governo ha trovato un accordo sulle modifiche da apportare al ddl Premierato, che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri. Il governo della premier Giorgia Meloni non intende perdere tempo ora che la Lega sembra essersi acquietata, ottenendo la calendarizzazione alla Camera dell’autonomia differenziata.
Il nuovo articolo 4 prevede quindi che se il premier viene sfiduciato «mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere». Inoltre se si dimette volontariamente e «previa informativa parlamentare il premier può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone». Qualora non venga esercitata la facoltà di proporre lo scioglimento delle Camere e «nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza», il capo dello Stato può incaricare «per una sola volta nel corso della legislatura» il premier dimissionario o «un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio».
«Si è lavorato a una formulazione della norma più chiara della precedente. Serve maggiore stabilità, basta con gli inciuci, basta con i governi tecnici: saranno i cittadini se passa questa riforma a decidere da chi devono essere governati. Questa la considero la madre di tutte le riforme», ha detto la premier Giorgia Meloni. Il testo, limato grazie alla mediazione della ministra Casellati, lascia spazio ancora al premier di riserva, che può arrivare se il presidente eletto rassegna «dimissioni volontarie». Prevedendo, comunque, la facoltà al presidente del Consiglio indicato dai cittadini di poter anche in questo caso chiedere, «entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone». Via libera invece senza indugi al premier di scorta in caso di «morte, impedimento permanente e decadenza» del primo inquilino di Palazzo Chigi. Ma solo per una volta durante la stessa legislatura.
L’esame del ddl dovrà fare inoltre i conti con la pioggia di modifiche al testo, non solo soppressive degli articoli del ddl Casellati, presentati da Pd, M5S, Avs, Italia Viva e Azione. Ma le opposizioni sono divise sulle modifiche. E allora sono ben 817 gli emendamenti al premierato presentati dal Pd, in maggioranza soppressivi e ostruzionisti, ma anche «una decina qualificanti che delineano una proposta alternativa che guarda al modello tedesco, con sfiducia costruttiva, Parlamento in seduta comune e innalzamento dei quorum di garanzia, per evitare che la maggioranza pro tempore si scelga da sola le figure di garanzia». Lo spiega il capogruppo del Pd in commissione Affari costituzionali Andrea Giorgis, che chiede alla maggioranza di ritirare l’elezione diretta e «aprire un confronto vero».
Il gruppo di Avs in Senato ha depositato oltre mille emendamenti al premierato, per la precisione 1.014, preparandosi a una battaglia ostruzionistica. Lo si apprende dal gruppo stesso presieduto da Peppe De Cristofaro. Sono 12 gli emendamenti di M5s al premierato, «soppressivi e sostitutivi». Lo spiega all’Ansa Alessandra Maiorino, vicepresidente del Gruppo al Senato. «Nessuno – dice – è meramente ostruzionistico. Sulla Costituzione non si gioca come fece Calderoli con 450 mila emendamenti. In ogni caso i pochi emendamenti chirurgici sono piccole cariche piazzate sotto l’architrave di questa follia». Sono 16 gli emendamenti presentati al Senato da Italia Viva al ddl costituzionale sul premierato, a firma Enrico Borghi e Dafne Musolino. «Gli elementi qualificanti riguardano il principio del ‘Simul simul’, con la cancellazione della norma anti-ribaltone e del pasticcio del ‘secondo premier’. L’abolizione del bicameralismo paritario e l’istituzione del Senato delle autonomie, con la riscrittura dell’articolo 55 della Costituzione. La possibilità data al premier di nominare e revocare i ministri. E il limite dei due mandati per il presidente del consiglio eletto direttamente dai cittadini».