In politichese si definirebbe “l’arte del dire tutto e il contrario di tutto”. È un principio che tanti pretendenti alla poltrona di Palazzo Chigi hanno applicato in politica ed è una strada che anche Luigi Di Maio ha deciso di percorrere in vista delle elezioni nazionali del prossimo marzo. Non per questione di incoerenza, ma per tracciare una linea flessibile di confine tra quello che pensa ma anche in caso di vittoria non potrà fare e quello che la realtà gli imporrebbe volente o nolente di fare. Una prospettiva che può rinsaldare il rapporto con il popolo anti-casta e al contempo interessare pure quegli elettori 50enni e 60enni tradizionalmente poco propensa a scegliere l’area politica grillina. L’esempio più emblematico è quello del Referendum per uscire o restare nell’euro, una consultazione che tanti elettori italiani vorrebbero per votare No e per cancellare l’odiata moneta unica, ma uno scenario che non si verificherà. «Ovviamente voterei per l’uscita dall’euro. Se ci fosse il referendum. Ma il referendum non ci sarà. Perché se ci fosse vorrebbe dire che l’Europa non ci ha ascoltato. E invece l’Europa è un’opportunità», ha detto a tal proposito il candidato premier del Movimento Cinque Stelle. Una posizione sulla quale verrebbe da chiedersi se, insomma, Di Maio sia favorevole alla permanenza dell’Italia nell’Euro o se in pratica sarebbe pronto a sostenerne l’uscita. Di Maio si è posizionato in linea di “galleggiamento” tra le rispettive posizioni. Perché sa che ci sono gli elettori anti-euro ma ci sono anche quelli che ragionando su basi pragmatiche più economiche e meno populistiche ritengono sia meglio rimanere nell’Euro.
IL REBUS DELLE ALLEANZE. Analogo discorso vale per le alleanze e l’attuale legge elettorale che rischia di zavorrare le ambizioni di Governo dei pentastellati per la loro atavica “allergia” alle alleanze con altri. Anche qui Di Maio non ha perso tempo per evidenziare che se M5S dovesse prendere il 40% dei voti «andrà a governare da solo, senza alleati». Peccato che nello scacchiere politico odierno e con il Rosatellum il 40% sia un miraggio per chiunque e allora Di Maio ha articolato ulteriormente il suo pensiero aggiungendo: «Se vinciamo senza il 40% gli altri non potrebbero comunque che sostenere noi, allora faremo un governo chiedendo agli altri di votarlo in Parlamento, sui temi però». Come dire: da soli non si governa, ovvio, ma lo si può fare con un’alleanza “esterna”, punto per punto. Magari con un asse politico tra M5S e Liberi e Uguali di Grasso. Perché la priorità di Grillo e i Cinque Stelle, è stato, è e sarà in qualsiasi caso quella di impedire un Governo tra Forza Italia e Partito Democratico che forse riporterebbero tutti alle urne il prossimo autunno ma non si può neppure escludere che decidano di fare un Gentiloni bis.
DALL’ANTICASTA AL POLITICHESE 2.0. La strategia elastica di Di Maio (e Grillo) non risparmia neppure il tema delle pensioni. Quelle d’oro le vogliono tagliare, anzi cancellare, anzi a cinquemila euro al mese la sforbiciata, l’età pensionabile la riportiamo più giù, anzi la blocchiamo lì dov’è adesso. Il messaggio grillino in vista delle politiche di marzo è che, in definitiva, ci sarà un linguaggio politico meno votato all’anticasta e stavolta più politichese, una sorta di politichese 2.0 ricercando quell’equilibrio di intenti e nelle dichiarazioni che alla lunga può portare il consenso degli scontenti anti-casta e anti-euro ma pure quello di un elettorato più adulto che non sia soltanto dei 20enni e 30enni.