B COME BUSINESS. Il giro d’affari del Super Bowl è qualcosa che non è descrivibile neanche coi numeri impressionanti che lo caratterizzano. Come detto, l’evento è il più seguito degli Stati Uniti e sempre più apprezzato in giro per il mondo (quasi mezzo milione di persone hanno fatto nottata in Italia per godersi lo spettacolo), e una platea talmente vasta richiede alle aziende sforzi importanti dal punto di vista economico. Confermando il detto che il tempo è denaro, le multinazionali hanno dovuto sborsare un minimo di 5 milioni di dollari per accaparrarsi uno spazio pubblicitario di 30 secondi. Cifre folli che lievitano ancor di più se si pensa alle stelle che vengono impiegate per partecipare allo spot: ieri sera si sono viste sugli schermi di tutto il mondo star del calibro di Morgan Freeman, Matt Damon, Danny DeVito, David Harbour e Peter Dinklage, per non parlare poi degli attori che sono apparsi nei trailer dei prossimi film campioni di incassi, come Jurassic World e l’ennesimo episodio della saga di Star Wars. Ma oltre allo showbiz, il business del Super Bowl ha coinvolto la ristorazione (ben 45mila hot-dogs venduti), il merchandising e, ovviamente, l’industria discografica. Insomma, il Super Bowl è il miglior ministro del lavoro che esista.