Diciamo la verità, in Italia siamo stati abituati a sentirne anche di più strambe. Prendi quel tale che 16 anni fa decise di chiamare proprio figlio “Varenne”. Di fronte a simili paragoni, il fatto che si voglia chiamare “Blu” la propria figlia, come accaduto a Milano, non sembra poi così tanto un’eresia. La legge italiana ha infatti dato ragione alla coppia confermando la scelta fatta dai genitori poiché in linea con le normative vigenti.
LE REGOLE IN MATERIA ANAGRAFICA. L’impalcatura normativa che sorregge la materia dell’attribuzione del nome ai neonati si fonda sul nostro codice civile e sul Dpr 396/2000. Il Codice Civile all’art. 6 – “Diritto al nome” recita: “Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati”. I casi e le formalità indicati dalla legge sono in larga parte contenuti nel già citato Dpr. In particolare, è fatto divieto di attribuire al figlio un nome identico a quello del padre con la semplice aggiunta della dicitura anglosassone “Jr.” e non è possibile imporre ai bambini più di tre nomi, è invece possibile attribuire loro dei nomi geografici come ad esempio “Asia”. A differenza del passato, poi, l’ufficiale dell’anagrafe non può opporsi alla registrazione del nome del bambino o della bambina, anche di fronte a palese divieto, deve invece avvisare il procuratore della Repubblica affinché promuova eventualmente un provvedimento di rettifica del nominativo “incriminato”.
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NOMI FUORI DAL COMUNE. L’abitudine di tentare l’originalità a tutti i costi nel decidere il nome del proprio figlio o della propria figlia in Italia è contagiosa. Gli spunti più utilizzati provengono dal mondo della tecnologia, sono in tanti, dai dati Istat di qualche anno fa, ad aver chiamato i propri figli “Apple” o “Google”. Seguono le star della musica o i personaggi di fantasia come “Rihanna” o “Thor”. C’è poi chi pesca nel mondo greco e latino e sceglie nomi del calibro di “Berengario”, “Abbondanzio” o “Zosima”. Possiamo consolarci però con i dati che ci giungono dall’estero. Negli Usa, per esempio, non scherzano nemmeno con nomi del tipo di “Hashtag”, “Siri”, “Burger” o “Turbo”.