In attesa di sapere come andrà a finire con la manovra finanziaria 2020, dalla diffusione da parte dell’Istat dei conti delle Amministrazioni pubbliche nel secondo trimestre 2019 – elaborati da Fondazione Edison e Il Sole 24 Ore – emerge che nel primo governo Conte la pressione fiscale è aumentata di 0,6 punti percentuali. Negli ultimi quattro trimestri del governo Conte I (dal terzo trimestre 2018 al secondo trimestre 2019), rispetto agli ultimi quattro trimestri del governo Gentiloni (dal terzo trimestre 2017 al secondo trimestre 2018), l’incidenza sul Pil della pressione fiscale è salita dal 41,5% al 42,1%.
Nel periodo va dal terzo trimestre 2018 al secondo trimestre 2019, quando al governo c’erano Conte, Di Maio e Salvini, l’ammontare delle entrate fiscali a prezzi correnti è stato pari a 744,8 miliardi di euro, in aumento di 16,3 miliardi su base annua rispetto all’ultimo anno del governo Gentiloni. Nel frattempo, il Pil a valori correnti è salito a 1.769,7 miliardi, con un aumento di soli 13,9 miliardi, dunque una crescita inferiore a quella delle imposte. Il che ha determinato il suddetto aumento della pressione fiscale. Dunque, si è invertita una rotta che aveva visto scendere il tax rate durante i governi Renzi e Gentiloni di 1,8 punti percentuali complessivi (dal 43,3% a cui l’aveva lasciato il governo Letta).
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Durante il governo Renzi (dal primo trimestre 2016 al quarto trimestre 2016), come riporta Il Sole 24 ore, il Pil è cresciuto su base annua di 40,2 miliardi, mentre le imposte aumentarono nello stesso periodo solo di 5,9 miliardi. Nell’ultimo anno del governo Gentiloni (dal terzo trimestre 2017 al secondo trimestre 2018) il Pil aumentò invece su base annua di 41,4 miliardi e le imposte salirono di 7,4 miliardi. Ma la dinamica crescente del tax rate rispetto al Pil durante il governo Lega-M5s potrebbe essere stata conseguenza, oltre che del rallentamento economico, anche del recupero dell’evasione fiscale. Quest’ultima probabilmente attribuibile in buona parte alla fatturazione elettronica.