Ha preso il via da Iowa, un piccolo stato da circa tre milioni di abitanti nel nordest degli Stati Uniti, la stagione delle primarie del Partito Democratico, un percorso che porterà a scegliere chi sfiderà Donald Trump il prossimo 3 novembre alle elezioni presidenziali 2020. Da qui alla metà di luglio gli elettori democratici di tutti i 50 Stati avranno la possibilità di votare per il candidato prediletto tra quelli in lizza. Il nome del prescelto sarà ufficializzato durante la convention nazionale democratica, in programma dal 13 al 16 luglio a Milwaukee, in Wisconsin. Le attenzioni sono tutte rivolte alle primarie democratiche poiché quelle repubblicane, data la ricandidatura di Trump, sono una pura formalità, tanto che in alcuni Stati sono state cancellate in segno di supporto al presidente uscente.
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Nel corso dei mesi che hanno preceduto le primarie sono stati diversi i personaggi che hanno deciso di ritirarsi dalla corsa, dal deputato Beto O’Rourke a Kamala Harris, la prima asio-americana a essere eletta al Senato. I candidati principali che compariranno sulle schede elettorali in almeno 15 Stati sono 11. I quattro dati come favoriti sono l’ex vicepresidente statunitense Joe Biden, l’ex sindaco di South Bend (Indiana) Pete Buttigieg, il senatore Bernie Sanders e la senatrice Elizabeth Warren. In corsa, ma con meno probabilità di ottenere la nomination secondo i sondaggi, c’è anche il miliardario ed ex sindaco di New York, Michael Bloomberg.
Joe Biden, 77 anni, continua a essere il favorito per la nomination finale. L’ex vicepresidente è entrato nella campagna con un messaggio dai toni apocalittici: «È in gioco l’anima del Paese». Biden sostiene di essere «l’unico in grado di battere Donald Trump»; il solo ad avere «l’esperienza necessaria per raddrizzare l’America». Trump lo ha soprannominato «Sleepy Joe», cioè «morto di sonno». Però lo teme e l’Ucrainagate lo dimostra.
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Pete Buttigieg se eletto sarebbe il primo presidente apertamente omosessuale della storia Usa. Ma a testimonianza di quanto velocemente stia cambiando l’America, il fatto che Buttigieg sia gay non è nemmeno la prima cosa che si impara a conoscere di lui. L’aspetto più rivoluzionario della sua candidatura è l’età: Pete, 38 anni, sarebbe il primo presidente millennial, parte di una generazione «cresciuta con le sparatorie nelle scuole, che ha dato al Paese la maggior parte dei militari impiegati in guerra dopo l’11 settembre, che sarà la prima a guadagnare meno dei genitori, quella che dovrà affrontare le conseguenze concrete del climate change». A differenza dei suoi coetanei però, politicamente Pete è molto più centrista e questo potrebbe rivelarsi un problema, perché i radicali non si fidano di lui, ma molti moderati lo considerano un po’ troppo giovane per entrare a Pennsylvania Avenue. E ha un altro grosso problema elettorale: a differenza di Biden, è debolissimo tra gli afroamericani. Ad ogni modo, la sua corsa è stata già straordinaria: un anno fa era praticamente sconosciuto e nei sondaggi è saldamente tra i primi quattro.
Elizabeth Warren, 70 anni, si è candidata ufficialmente per le primarie del partito democratico il 9 febbraio 2019 con un comizio a Lawrence (Massachusetts). Per diverse settimane i suoi incontri con la base non hanno superato la dimensione di una riunione di condominio. I sondaggi registravano appena la sua flebile presenza. Verso la metà di marzo ha cominciato a partecipare alle «town hall», i confronti con gli elettori organizzati dalle principali tv. E le sue quotazioni, piano piano, sono cresciute, fino a diventare una possibile pretendente alla nomination. Warren è una giurista specializzata in diritto commerciale, fallimentare e nella protezione dei consumatori.
Bernie Sanders, 78 anni, quattro anni fa corse da outsider e trovò spazi politici smisurati, trascurati da Hillary Clinton e anche dallo stesso Barack Obama. Adesso lo scenario è completamente cambiato. Il suo marchio iniziale è patrimonio comune di un’area sempre più visibile del partito ed è conteso in modo determinato dalla senatrice Elizabeth Warren. Bernie ha incassato l’endorsement di Alexandria Ocasio-Cortez, la nuova stella dei radical; ma il suo punto debole resta la scarsa presa nella comunità afro-americana. Il senatore è uno dei pochi politici a sostenere che gli Stati Uniti avrebbero molte cose da imparare da altri Paesi, sul piano sociale ed economico. È un ammiratore del welfare state all’europea.