Il rinvio con il quale si è concluso il vertice dei leader europei offre l’immagine di un’Europa divisa anche di fronte alle tragedie. Fra la posizione di italiani e spagnoli, appoggiati dal presidente francese Macron, di utilizzare strumenti finanziari inediti ed eccezionali per affrontare la crisi, e quella della Germania propensa a sfruttare soltanto i 410 miliardi di euro del Mes, si è scelto di non scegliere. E così l’ipotesi degli eurobond, declinati in tempo di epidemia in coronabond, avanzata dal premier italiano Giuseppe Conte rischia di naufragare ancora una volta per l’opposizione di Germania e dei suoi alleati del Nord come accaduto tra il 2011 e il 2012 durante la crisi dell’Eurozona.
Si tratta di meccanismo solidale, ancora ipotetico, di distribuzione dei debiti tra gli Stati dell’Eurozona, attraverso la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi stessi. In sostanza, uno Stato membro chiede soldi in prestito per poter finanziare le proprie opere di intervento – quelle classiche (sanità, infrastrutture, spese militari, etc.) e quelle straordinarie, non programmate, com’è appunto il caso dell’emergenza coronavirus – e il debito viene spartito tra tutti gli Stati membri. Ed è per questo che la Germania, che è considerata virtuosa, per via dei suoi conti in ordine, rispetto a Paesi come l’Italia e più in generale i Paesi del Sud dell’Europa, ancora una volta frena su questo progetto.
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Nel caso specifico, i coronabond verrebbero emessi per aiutare i Paesi che hanno una capacità di spesa ridotta a far fronte alle ingenti uscite di denaro legate alla diffusione dell’epidemia, soprattutto nel campo sanitario (spese per ospedali, macchinari per la terapia intensiva, mascherine, ventilatori, guanti, ricerca scientifica) e in quello economico: quando sarà finito il blocco che sta mettendo in ginocchio il sistema produttivo dell’Italia e di altri Paesi dell’eurozona saranno infatti necessari interventi massicci per il rilancio.