Da un lato c’è Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, che ipotizza scuole aperte solo dall’inizio del prossimo anno scolastico, a settembre. Dall’altro il pressing delle industrie del Nord. È un’Italia ancora divisa tra tutela della salute e tenuta economica. «Personalmente penso che si possa fare una riflessione per posporre la riapertura delle scuole al prossimo anno», ha dichiarato il professor Locatelli. «Ma la decisione – ha puntualizzato – spetta al Governo».
«Quello che mi preoccupa di più al momento – ha avvertito Locatelli – è se si abbandonano i comportamenti individuali che ci hanno portato a limitare il numero dei ricoverati e ridurre il numero dei morti. Se chiudere le attività produttive e attuare il distanziamento sociale e la limitazione delle libertà personali è stato doloroso, riaprire senza che il Paese torni nell’emergenza è un’operazione delicata».
“Personalmente credo che in questo momento si possa fare una riflessione per magari posporre la riapertura delle scuole all’inizio del prossimo anno scolastico.”
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— Che Tempo Che Fa (@chetempochefa) April 12, 2020
Ma che volto avrà la scuola che ripartirà a settembre? Sarà un volto coperto da una mascherina? E la didattica a distanza si alternerà con quella in presenza? Le ipotesi e le voci si rincorrono, nessuno però è in grado di dare una risposta precisa in questo momento. Tutto dipenderà dall’evoluzione del contagio. Nel decreto licenziato il 6 aprile dal governo è previsto un ritorno anticipato per tutti fin dal primo settembre con le prime due o tre settimane dedicate a un gran ripasso delle materie più importanti rimaste indietro quest’anno.
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Quella che riaprirà, se riaprirà, dopo l’estate dovrà essere necessariamente una scuola a geometrie e geografie variabili, che apre solo se, quando e dove ci sono le condizioni per farlo e appena si renda necessario chiude di nuovo. Di certo dovrà essere una scuola in grado di ridurre al minimo le condizioni di rischio per 8 milioni e mezzo di alunni e un milione di insegnanti. E di intervenire tempestivamente al primo allarme.
Il Ministero dell’Istruzione ha assicurato che il numero delle cattedre non sarà ridotto. Ma le classi, in particolare quelle cosiddette pollaio, con 25-30 alunni per aula, non offrono di certo le garanzie di sicurezza richieste dalla minaccia della pandemia. L’ipotesi di sdoppiare le classi e fare i doppi turni è difficile da praticare perché richiederebbe di raddoppiare il numero dei professori.
Soluzioni dietro l’angolo non ci sono. Per adesso di pensa alle modalità di chiusura dell’anno in corso. Ma alcuni scenari si stanno già disegnando. Non è ancora chiaro quali saranno le condizioni minime di sicurezza. Quelle banali: rilevatore della temperatura all’ingresso, entrata e uscita scaglionate, guanti e mascherine per tutti. E quelle assai più problematiche, come la distanza minima di sicurezza di un metro che risulta difficile da mantenere anche dove i locali delle scuole sono appropriati. È possibile che ci si trovi costretti a una didattica mista, un po’ in presenza, un po’ da casa, come si è già fatto in questi mesi, ma meglio.