Sono passati 12 anni dal dito medio alzato durante l’inno d’Italia da Umberto Bossi e un anno dalla calda estate del Papeete con le cubiste che ballavano sulle note di Fratelli d’Italia davanti a Matteo Salvini. Due momenti che ben sintetizzano il passaggio dalle Lega fondata dal Senatur che aveva nell’autonomia del Nord la sua ragione sociale a quella “nazional-populista” del Capitano. Lo certifica il cambio di nome e del simbolo: il Nord è scomparso. O meglio, formalmente la Lega Nord esiste ancora, ma è solo una scatola vuota che non ha alcun ruolo politico ma un’unica incombenza: restituire allo Stato i 49 milioni del finanziamento pubblico.
Secondo quanto scritto da Repubblica, che cita genericamente come fonte i responsabili del vecchio partito, il 30% dei militanti della Lega Nord non avrebbe fatto la tessera della nuova Lega. Molti militanti faticano ad accettare la leadership di Salvini e soprattutto la scomparsa dalle priorità del partito delle questioni legate al federalismo e all’autonomia del Nord. Ed in particolare contestano l’essere diventati nazionalisti dopo essersi dimenticati di essere nordisti.
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La Lega Nord è nata ufficialmente alla fine del 1989, con la fusione di diversi movimenti autonomisti regionali dell’Italia settentrionale. Tra i maggiori, insieme alla Liga veneta, c’era la Lega Lombarda, fondata nel 1982 da Umberto Bossi. La sua carriera politica fu molto rapida e molto di successo, dato che già nel 1987 venne eletto sia alla Camera che al Senato. Il primo successo elettorale a livello nazionale della Lega arrivò con le elezioni politiche del 1992, pochi mesi dopo l’inizio delle indagini sulla corruzione di “Tangentopoli”: la Lega Nord prese oltre l’8% dei voti a livello nazionale sia alla Camera che al Senato, un successo enorme per un partito allora praticamente inesistente a sud dell’Emilia-Romagna. Alle elezioni politiche successive, nel 1994 e nel 1996, la Lega aumentò ancora il suo consenso arrivando al 10,7%.
Nel corso degli anni le aspirazioni secessioniste vennero via via ridimensionate fino a sparire quasi del tutto, uno degli esponenti politici, Roberto Maroni, diventò ministro dell’Interno e la leadership di Bossi cominciò a essere messa in discussione da altri dirigenti più pragmatici e moderati. La rivalità tra “bossiani” e “maroniani” accelerò tra il 2012 e il 2013 con le inchieste sulla Lega e le successive dimissioni di Bossi. Durante la segreteria di Maroni alcuni esponenti del partito – soprattutto in Piemonte e Veneto, dove la Lega aveva perso più consensi – si dimisero. Il 7 dicembre del 2013 le primarie degli iscritti alla Lega furono vinte da Matteo Salvini, appoggiato da Maroni, proprio contro Umberto Bossi: Salvini fu eletto segretario federale del partito sostenendo da subito una nuova linea per portare la Lega su posizioni più moderate e centriste.
Secondo Salvini la Lega poteva crescere soltanto occupando lo spazio che si era liberato a destra con la scomparsa di Alleanza Nazionale e con l’ulteriore spostamento al centro di Berlusconi. Nel dicembre del 2017 Salvini chiuse formalmente con la vecchia Lega fondando un nuovo partito nazionale, la “Lega per Salvini premier”. La crisi dell’autonomismo settentrionale, la critica interna dei militanti storici e la mancanza di radicamento al Centro e al Sud resero necessario cercare una nuova “dottrina”: da partito indipendentista del nord, la Lega è diventata un partito nazionalista e sovranista vicino ai movimenti di estrema destra locali e stranieri, e alleata ai movimenti cattolici più conservatori. L’identità settentrionale è stata sostituita da temi come l’avversione all’immigrazione, l’uscita dall’euro e la difesa dell’identità nazionale.
La nascita del nuovo partito, con un nuovo statuto e una nuova sede legale, è stata coerente con la trasformazione ideologica decisa da Salvini, ma ha anche a che fare con il pagamento dei 49 milioni di euro di rimborsi elettorali utilizzati dalla Lega in modo illecito. Nel 2018, il tribunale di Genova ha deciso che il partito deve restituire allo stato il denaro ricevuto in quel periodo versando su un conto a disposizione della Guardia di Finanza rate da 600 mila euro, frutto dei versamenti degli eletti, delle donazioni degli iscritti e del finanziamento pubblico del 2 per mille che la Lega, ormai svuotata, continua comunque a ricevere. La vecchia Lega è dunque stata definita una sorta di “bad company” che servirà a pagare i debiti e a ottenere le donazioni dei nostalgici.
Repubblica riporta che al nuovo partito a febbraio 2020 si erano iscritte 50 mila persone, precisando però che «una fetta importante dei militanti storici» non aveva rinnovato l’iscrizione. Il quotidiano spiegava che «almeno un terzo» aveva rinunciato: «Molti di loro si definiscono bossiani, maroniani. Ma non salviniani. E si allontanano proprio perché manca la parola per loro “magica”: Nord».
Matteo Salvini su Facebook risponde indirettamente ai dati presentati su Repubblica annunciando che fino a ora sono state fatte 100 mila tessere e che l’obiettivo è arrivare a 200 mila. Ma comunque qualcosa negli ultimi 12 mesi è andato storto: circa il 10% degli elettori ha voltato le spalle al Capitano, che oggi si deve guardare da avversari interni ed esterni. Il principale è Luca Zaia. Il Governatore del Veneto già serio concorrente prima del Covid ha ulteriormente rafforzato la sua immagine per come ha affrontato l’epidemia. Zaia così come alcuni sindaci lombardi, non hanno certo gradito le ultime uscite del segretario. Né il governatore del Veneto, che rappresenta assieme a Giancarlo Giorgetti la Lega di governo, ha mai seguito il segretario sulle posizioni anti-Ue e anti-euro anche perché nella sua Regione si concentrano gran parte delle imprese che esportano in Germania e Francia.
Ostilità che ovviamente viene negata. Ma certo è un fatto che il Governatore aveva spinto per accelerare il voto a luglio delle regionali e il suo segretario non ha detto una parola per sostenerlo. Il 21 settembre, quando saranno teminati gli scrutini, avremo la risposta. Alle scorse regionali la lista Zaia conquistò il 23% e la Lega circa il 18. Oggi i sondaggi danno la lista del Governatore sopra il 40% e il partito di Salvini poco sopra il 10. Un risultato che non potrebbe non riflettersi sugli equilibri interni.