L’attività poetica di Salvatore Quasimodo (1901-1968) attraversa tre quarti del Novecento: dalle prime poesie e prose liriche risalenti al 1916-‘17, testi scritti con l’enfasi della giovane età, la retorica tipica del tempo, raccolti in un Quaderno giovanile – ricopiato dall’amico Pugliatti e di recente pubblicato in Tutte le poesie, Oscar Mondadori Baobab – fino alla dimensione prosastica delle ultime raccolte, in cui diverse poesie richiamano suoi articoli giornalistici.
Basti qui l’esempio de I maya a Mérida, poesia di Dare e avere (1966) scritta dopo un viaggio in Messico, che è in rapporto con un precedente articolo, Il Messico, la cultura, gli ambasciatori, apparso il 13 gennaio ’65 sul settimanale «Tempo». I discendenti degli antichi Maya nei loro corpi «piagati», «dispersi» e «rifiutati» sembrano ricordare il Cristo. Si può cogliere in questa lunga parabola la costante della religiosità nella poesia quasimodiana, come anche il fecondo rapporto della scrittura con una dimensione non astratta, reale.
Scrive Quasimodo in una Poetica (1950): «Dalla mia prima poesia a quella più recente non c’è che una maturazione verso la concretezza del linguaggio». Anche nel periodo degli anni ’30-’40, definito ermetico dalla critica, vi sono riferimenti concreti al paesaggio siciliano, alla propria infanzia, ad esperienze amorose, elementi che si legano insieme.
I rimandi alla realtà sono ben presenti nelle poesie giovanili. Durante il primo conflitto mondiale, tra i compagni di scuola e nelle mani di qualche docente circolavano le poesie del Siciliano sul tema della guerra. Qualche professore lo chiamava per scherzo con l’aggettivo che compare in Orrore guerresco: «Rutilante!». I primi versi della poesia sono i seguenti: «Rutilante il tramonto su la terra / fumante scese. Tacito scorreva / nell’infernal vallata ora il fiume / ma rosse l’acque erano, rosse di sangue».
Nella poesia La nave perduta, del 1917, Quasimodo lamenta l’impiego del sottomarino come arma terribile e invisibile: «sul mare l’inganno, la morte; / più non vince chi è forte!». Altri poeti, penso all’Ariosto, avevano lamentato in passato l’uso vile delle armi a distanza; nell’Orlando furioso il paladino getta nel mare l’archibugio del re Cimosco, archibugio su cui si concentra la polemica dell’autore: «non più la gagliardia, non più l’ardire / per te può in campo al paragon venire».
Ariosto sarà celebrato in un componimento in ottave da Quasimodo nella lirica Battere al buio, nel primo Acque e terre (1930), testo poi eliminato nella celebre autoantologia Ed è subito sera del ’42. In Battere al buio, il poeta, che vorrebbe dedicarsi di più alla poesia, parla del suo lavoro di geometra del Genio civile, lavoro ormai divenutogli ostile, esaltando il linguaggio del «poema antico», del Furioso: «Anzi che al metro, all’angolo, alle masse / essere intento come ad un nemico, / ecco, vorrei che dentro mi sonasse / il tuo dolce linguaggio, Lodovico».
Di questo e di altro abbiamo discusso con il figlio del poeta, Alessandro.
Suo padre non amava molto il lavoro di geometra, svolto spesso in luoghi disagiati, come ho potuto leggere in diverse lettere inedite all’amante Amelia Spezialetti.
«Sì, mio padre non amava il lavoro di geometra, fu indirizzato a questo tipo di studi da suo padre e frequentò l’Istituto Tecnico “Jaci” a Messina. Dopo aver conseguito il diploma scappò a Roma dove fece vari mestieri: commesso in negozio di ferramenta, impiegato alla Rinascente, anche disegnatore tecnico sulla scorta dei suoi studi. Il padre Gaetano, attraverso delle sue amicizie, riuscì a farlo chiamare come geometra straordinario a Reggio Calabria, da cui fu trasferito in vari sedi, anche in Sardegna. Quasimodo accettò questo lavoro che durò da ’26 al ’38, anno in cui fu chiamato da Zavattini a collaborare al settimanale “Tempo”; lavoro di geometra che gli pesò molto, fu faticoso, sempre all’aria aperta con spostamenti continui, il contrario della sua natura riflessiva, tesa alla scrittura. Nel ’41 fu finalmente nominato professore di Letteratura italiana al Conservatorio di Milano. La richiesta fu avanzata da uno scrittore suo amico, l’Accademico d’Italia Angiolo Silvio Novaro, che Quasimodo conobbe durante il suo trasferimento ad Imperia. Novaro, che morì nel ’38, non ebbe la soddisfazione di sapere che la sua richiesta per Quasimodo fosse stata accolta. Anche se era un poeta di altra generazione amava molto la poesia di Quasimodo, Oboe sommerso e in particolare il testo Preghiera alla pioggia».
Per la copertina della nuova edizione di Tutte le poesie (Oscar Mondadori) è stato scelto un fico d’India.
«La copertina è da porre in rapporto con la definizione che di Quasimodo diede un giornalista (ma c’è chi come Gaetano Munafò la fa risalire allo stesso poeta): come il ficodindia, «spinoso di fuori, dolce di dentro», definizione centrata, esatta. Mio padre era proprio così! Giocava sempre in difesa, munito di aculei e di spine sia verso i familiari che verso le persone cui era molto legato; era difficile discutere di un problema con lui e arrivare al punto, al centro delle cose. Le rare volte che riuscivi senza pungerti a farlo aprire potevi avvertire, come una conquista, questa sua dolcezza interna. Forse su questa sua disposizione interiore hanno potuto influire le tante difficoltà incontrate da emigrante e uomo del Sud (a Roma ha letteralmente fatto la fame per un certo tempo). Tante volte partiva all’attacco anche con intellettuali o persone che lo amavano».
Vuole raccontarci qualche episodio in particolare?
«Posso raccontarti l’episodio capitato con lo scrittore, traduttore e critico musicale Beniamino dal Fabbro, non ricordo se al Caffè Tre Marie o più probabilmente al Biffi Scala, dove i letterati erano soliti riunirsi. Una sera nasce una discussione su una poesia di Quasimodo, Lettera alla madre, che Dal Fabbro ritiene ispirata alla poesia omonima di Sergej Esenin, viste alcune coincidenze, a cominciare dal titolo. Quasimodo sostiene di non averla mai letta. Alle insistenze dell’amico, mio padre, arrabbiatosi, prende una zuccheriera pesante, simil argento e la lancia contro Beniamino che si scansa, per cui essa finisce contro una vetrata del locale… Anni dopo Quasimodo partecipò ad una raccolta di fondi in favore di Beniamino per una costosa operazione chirurgica per cui era preoccupato; si era riavvicinato all’amico. Ma queste suo stare sempre sulla difensiva, sentirsi attaccato, poteva a volte provocare questi suoi “memorabili” scatti focosi».
Suo padre ha sempre rigettato la guerra ed ha fatto parte del movimento dei Partigiani della Pace, è stato, inoltre, tra i fondatori dell’Università della pace.
«Infatti in Uomo del mio tempo, nel 1945, dopo il lancio delle atomiche, invita i figli a dimenticare i padri! Il suo anelito alla pace, disseminato in tanti suoi scritti, è di derivazione evangelica in primo luogo, poi si lega ad un impegno politico-sociale. Al movimento dei Partigiani della pace (in seguito Consiglio Mondiale per la pace) teneva molto, è andato ai vari Convegni internazionali. Esso fu preceduto, nel 1948, dal Congresso mondiale degli intellettuali per la Pace di Wrocław (Breslavia) il 28 agosto, da cui i delegati si spostarono in incontri, o visite, a Varsavia, Cracovia, Auschwitz. Ne è testimonianza una cartolina del 1948, che conservo, inviata da Cracovia alla Cumani con le firme di Quasimodo, Pablo Picasso, Paul Éluard. Conservo anche una foto di delegati del Congresso in cui Quasimodo è vicino a Natalia Ginzburg, con cui ebbe una breve storia d’amore, di cui rimangono alcune lettere… C’è da aggiungere che Quasimodo ebbe una profonda ammirazione per la figura di Bertrand Russell e il suo impegno pacifista, come si può leggere in diversi suoi articoli apparsi sul settimanale “Le Ore” negli anni ’60. In uno in particolare esalta il filosofo inglese che a 89 anni, seduto a terra al gelo per ore, protesta in un corteo davanti al Ministero della difesa contro l’arrivo di armi atomiche e critica i quotidiani italiani che avevano ironizzato sull’avvenimento. Su un altro versante, Quasimodo fu uno dei dieci Nobel fondatori della Université della paix (1960) diretta da padre Dominique Pire».