«L’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore». Sono queste le parole di Papa Francesco che concludono il suo nella terra di Abramo. Un evento destinato ad entrare nella storia della Chiesa. Le orme sono quelle di Abramo, ma il sentiero è quello tracciato da Giovanni Paolo II. Wojtyla avrebbe voluto visitare il Paese arabo alla fine del 1999 come prima tappa del suo pellegrinaggio giubilare nella terra di Abramo. Ma Saddam Hussein gli sbarrò la strada. Francesco riprende quel cammino interrotto oltre vent’anni fa: non lo hanno fermato né gli attentati terroristici della vigilia, né il lockdown deciso dalle autorità irachene per arginare la diffusione del Covid-19.
Il Papa ha visitato Bagdhad, Mosul, Ur e altri luoghi dell’Iraq, culla delle religioni rivelate. Ma anche delle tragiche sofferenze delle comunità cristiane discriminate e massacrate, dei conflitti mai sopiti all’interno del mondo islamico, di un Paese martoriato dal terrorismo e ora piegato dal Covid. Francesco ha camminato come pellegrino di pace pregando per tutte le vittime della guerra. «Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio!»
«Com’è crudele che questo Paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta cosi’ disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone – musulmani, cristiani, yazidi che sono stati annientati e altri», ha detto Bergoglio a Mosul. Qui il pontefice ha rivolto una preghiera per le vittime della guerra nella cosiddetta Piazza delle quattro chiese (Hosh al Bieaa in arabo), in cui si trovano ai quattro angoli una chiesa siro-cattolica, una siriaco-ortodossa, una armena-ortodossa e una caldea. «Oggi, malgrado tutto ,riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione».
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«Il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola. L’ultima parola appartiene a Dio e al suo Figlio, vincitore del peccato e della morte»: questo il messaggio di lanciato dal Pontefice in una gremita Chiesa di Santa Maria Immacolata di Qaraqosh, città a maggioranza cristiana dove nella notte tra il 6 e il 7 agosto del 2014 circa 45 mila persone vennero cacciate dallo Stato islamico e costrette a rifugiarsi nel vicino Kurdistan. Il Papa chiede ai cristiani della Piana di Ninive, che hanno sofferto la persecuzione dell’Isis, di avere la forza di perdonare. «Perdono: questa è una parola-chiave. Il perdono è necessario – ha sottolineato il Papa- per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani. La strada per una piena guarigione potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo, per favore, di non scoraggiarvi. Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare. So che questo è molto difficile. Ma crediamo che Dio può portare la pace in questa terra. Noi confidiamo in Lui e, insieme a tutte le persone di buona volontà, diciamo ‘no’ al terrorismo e alla strumentalizzazione della religione».
Il messaggio più potente poi, papa Francesco lo ha rivolto alle donne: «Le madri consolano, confortano, danno vita. E vorrei dire grazie di cuore a tutte le madri e le donne di questo Paese, donne coraggiose che continuano a donare vita nonostante i soprusi e le ferite. Che le donne siano rispettate e tutelate! Che vengano loro date attenzione e opportunità». Papa Francesco ha voluto salutare Abdullah Kurdi, papà del piccolo Alan, naufragato con il fratello e la madre sulle coste turche nel settembre 2015 mentre con la famiglia tentava di raggiungere l’Europa.
Sicuramente l’appuntamento più importante della fitta agenda del Papa in Iraq è stato l’incontro con il grande ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al Sistani, la massima autorità sciita dell’Iraq. Un colloquio riservato durante il quale Francesco, fa sapere il Vaticano, «ha ringraziato il grande ayatollah Al-Sistani perché, assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno». Francesco «ha sottolineato l’importanza della collaborazione e dell’amicizia fra le comunità religiose perché, coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità».