Ogni libro ha la sua stagione. Alcuni si sposano bene con i momenti grigi della nostra vita. Altri invece rispondono a stati più sereni del nostro animo. Campi d’ostinato amore di Piersanti ha per me il grande merito di avermi trasportato nella solarità di una vita passata e presente, vissuta con un’adesione profonda, con amore, anche nella drammatica esperienza della sofferenza, che il poeta definisce giustamente ‘ostinato’.

È questo atteggiamento che lo spinge a stabilire un dialogo continuo e serrato con la natura, con tutto ciò che viene alla vita, dalle cose più umili a quelle più grandi: egli si pone, infatti, in ascolto non solo dei moti della sua coscienza, ma anche di quel mondo che è fuori di lui. Questo suo modo di essere si riflette nell’attenta costruzione strofica in cui i momenti lirici spiccano come perle incastonate in un tessuto ‘narrativo’ ben ordito, dove il particolare di volta in volta si ricompone nel tutto, e il passato con i suoi miti, le sue ombre e le dolenti figure dei cari che non ci sono più, dialoga con l’oggi, con il dramma della malattia del figlio, ma anche con il mondo contemporaneo affetto dalla pandemia, da un male che rende la primavera ‘strana’ e fa sì che la terra non dia ‘più erba buona’.
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L’attenzione per l’umano porta Piersanti al rifiuto di ogni intellettualismo, a una scrittura limpida, in cui ricompone i legami della sua esistenza. Chi legge i suoi versi ha la sensazione di sentire la sua voce pacata, che con umiltà e leggerezza ci porta nel suo mondo; a tratti sembra di intravedere il suo sguardo discreto, attento, rispettoso dell’incanto della vita, che si avvicina alle cose, specie a quelle più umili, e le lascia rivivere attraverso la magia della parola. La loro esistenza è altro da lui, ma si arricchisce anche di quella forza con cui il suo io ha attraversato e attraversa le fasi della sua esistenza, e si riverbera così anche sulle persone reali o immaginate che ha incontrato e incontra: sulla donna che ‘alta sugli stivali fuma sul terrazzo’ , sui suoi occhi accesi, sulla sua carne bionda, sulla sua figura ormai trasfigurata non più di donna ma di ‘ninfa riversa nell’attesa’, che piega i suoi sensi trascinandolo in una dimensione di pienezza, in un flusso dell’esistere ininterrotto che annulla ogni confine fra la terra lontana della memoria e il quotidiano.
Il tema della memoria ritorna più volte nelle varie sezioni del libro, specie in liriche quali ‘Settembre 1943’ e in tanti altri testi, dove riaffiorano immagini della guerra, la figura paterna e materna, e scene di vita familiare, con continue incursioni nella sfera personale degli affetti, che arricchiscono la sua poesia di toni, di percezioni, ma che animano anche il suo presente, gli forniscono un’esperienza, un viatico per attraversare la vita nelle sue varie fasi e passaggi, per non piegarsi dinanzi al dolore e alla sua ineluttabilità. In Piersanti la consapevolezza di ciò che è perduto si stempera in una ‘sapienza’, in un attaccamento alla vita, che è esercizio quotidiano di prossimità alle cose, a quel mondo naturale che continuamente evoca (si pensi ai favagelli, che più volte ricorrono nelle sue liriche o ad altre specie vegetali che qua e là affiorano nei suoi testi), e di cui si sforza di preservare la bellezza. Da qui forse trae la solarità che anima la sua scrittura, quella umanità che pervade i suoi versi, che raggiunge a mio avviso i momenti più toccanti nelle liriche dedicate al figlio Jacopo, affetto da autismo (p.73):
I cori che vanno eterni
tra la terra e il cielo,
ma tu li ascolti
Jacopo quei cori?
ho visto
il falco in volo
con la serpe
trafitta nella gola
dai curvi artigli,
l’estremo pigolio dell’uccelletto
che la biscia verdastra
afferra e ingoia,
tra i rami non s’aggirano
le ninfe,
un giorno le incontrai
in remoti boschi,
l’assurdo poco oscura
nevi e foglie
non scolora i bei crochi
nei greppi folti,
ma il tuo male
figlio delicato,
quel pianto che non sai
se riso, stridulo
che la gola t’afferra
più d’ogni artiglio,
questa bella famiglia
d’erbe e animali
fa cupa
e senza senso
e dolorosa
siamo scesi un giorno
nei greppi folti,
abbiamo colto more
tra gli spini,
ora tu stai rinchiuso
nelle stanze
e il mio ginocchio che si piega
e cede
a quei campi amati,
d’un amore ostinato,
sbarra l’entrata
aspetto i favagelli
del febbraio,
tiepidi contro il gelo
sbucare fuori
Il percorso della poesia di Piersanti ha i tratti di un’ascesi laica, di un cammino di vicinanza agli affetti sia attraverso la memoria sia attraverso un’eroica immersione nel dolore. Con versi limpidissimi, scritti in una lingua modernissima, ma che ha la luminosità di quella degli antichi, ci insegna a non rimpiangere il passato, ma ad attraversarlo, e dinanzi al dolore del presente e alla fragilità della vita, ad accoglierla con ‘un amore ostinato’ anche nella sua drammatica realtà.