C’è stato un tempo in cui Maria De Filippi era il Male, l’epifania del degrado morale, l’incarnazione di tutti i peccati originali della tv commerciale. Un «male dell’umanità», la definì Sabina Guzzanti, mentre Michele Serra la accusava di «commercio televisivo delle emozioni» e l’Avvenire di «pessima televisione». Poi, d’un tratto, la svolta.
Nonostante la sua voce roca, il suo tono imperturbabile, il suo sorriso inquietante, il suo portamento sgraziato, la sua naturale ineleganza, la signora Costanzo diventa un’icona televisiva: “padrona del piccolo schermo”, Maria “dalle uova d’oro”, “Nostra Signora della tv”, “Queen Mary”, “Bloody Mary”, un genio, il collante dell’unità nazionale, una temibile donna di potere che muove destini televisivi e non solo. Ospite al Festival di Sanremo e dei salotti radical-chic, non ultimo quello di Fabio Fazio a Ma che tempo che fa.
Eppure, insieme alla sua collega di rete Barbara D’Urso, Maria De Filippi è tra i responsabili principali dell’imbarbarimento della televisione. Ha tenuto a battesimo i talent show con Amici, sfornando cloni per il Festival di Sanremo, poi ha completamente sdoganato il tamarro, spalancando la porta ai tronisti e alle sgallettate di ogni età di Uomini e donne, che oggi riempiono le case del Grande Fratello (pseudo)vip e reality show similari (da La pupa e il secchione a Temptation Island e L’isola dei famosi), ha aperto i rubinetti dei pianti riconciliatori e delle sorprese strazianti della tv del dolore con C’è posta per te, fino a Tù sì que vales, a metà strada tra Amici e La corrida, con una maggiore propensione alla seconda. Spazzatura mediatica, dove prevalgono la morbosità e il voyeurismo populista, dove impera il degrado e lo svilimento estetico.
Si può dire che Maria De Filippi ha destrutturato e aggiornato il salotto dello show di suo marito Maurizio Costanzo, che trasformava Vittorio Sgarbi, Giampiero Mughini, Platinette in cariatidi catodiche. Quella bottega artigianale è ora diventata una catena di montaggio che sforna quei “mostri televisivi” che poi Barbara D’Urso, Alfonso Signorini e altri spremono. È colei che ha assunto i fili di un perverso processo mediatico che ha inculcato la convinzione di una realizzazione di sé stessi basata esclusivamente sull’apparenza, sull’ostentazione della fama, del successo e della bellezza, sulla costante ricerca dell’applauso, sull’approvazione del pubblico, sulla costruzione di ciò che gli altri vogliono e non di ciò che siamo. Non è un caso se i suoi programmi siano ai vertici dell’audience globale, ovvero la somma dei dati Auditel con gli ascolti del giorno dopo e le interazioni sui social.
Maria De Filippi ha trasformato in realtà il sogno di Berlusconi: è una imbonitrice che antepone la promozione al prodotto, involgarendo tutto e degradando cantanti e ballerini, uomini e donne a oggetti di mercato. È il «cinismo ruggente travestito da pietas ecumenica» di Flora, la protagonista dell’omonimo romanzo di Alessandro Robecchi, ambientato negli studi della Grande Fabbrica della Merda, la Grande Tivù Commerciale.