Un milione di persone sotto ai 60 anni, cui era stato somministrato il vaccino contro il coronavirus di AstraZeneca, riceveranno come seconda dose un vaccino a mRNA (Pfizer-BioNTech o Moderna), in seguito alla decisione del ministero della Salute di non utilizzare più il vaccino di AstraZeneca per i più giovani. La decisione ha fatto molto discutere perché, se da un lato deriva dalla scelta di procedere con un «principio di massima cautela» contro rarissimi effetti avversi, dall’altra implica attuare un protocollo diverso da quelli finora autorizzati dall’Agenzia europea per i medicinali, sulla base dei test clinici svolti nello scorso anno.
In seguito ad alcuni casi di cronaca, compreso il caso di una 18enne poi deceduta sul quale sono ancora in corso indagini, il ministro della Salute Roberto Speranza aveva chiesto al Comitato tecnico scientifico una nuova valutazione sui rischi e i benefici comportati dall’impiego del vaccino di AstraZeneca, specialmente tra i più giovani. Il Cts ha deciso di «rafforzare la raccomandazione» per l’uso di AstraZeneca sopra ai 60 anni, raccomandando invece i vaccini a mRNA sotto i 60. Ha poi consigliato per «massima cautela» di raccomandare l’impiego dei vaccini a mRNA anche per le seconde dosi degli under 60 che avevano ricevuto AstraZeneca alla prima somministrazione, quindi con una combinazione di due vaccini diversi, una “vaccinazione eterologa”.
Il verbale del Cts, pubblico da venerdì scorso e firmato dal coordinatore Franco Locatelli, chiarisce: «Sulla base delle evidenze di cui si dispone, la vaccinazione eterologa trova un suo solido razionale immunologico e biologico e non appare essere sconsigliabile né sul fronte della sicurezza (reattogenicità) né su quello dell’immunogenicità». Gli studi decisivi per Aifa sono stati condotti in Spagna (CombiVacS) e in Inghilterra (Shaw Rh, Lancet), e hanno evidenziato la sicurezza anche in termini di accettabilità degli effetti collaterali.
Considerato che per strade diverse i vaccini con vettore virale e a mRNA ottengono il medesimo risultato, i ricercatori si sono chiesti se variando tipologia di dose tra prima e seconda somministrazione – vaccinazione eterologa – si possa ottenere un’uguale risposta immunitaria, se non superiore, rispetto alla normale vaccinazione con due dosi dello stesso vaccino (vaccinazione omologa). Farlo non implica “mischiare” due vaccini come si è letto in giro in questi giorni: le dosi sono comunque distinte e quando si riceve la seconda dose, la prima non c’è già più da tempo: è impossibile che si mischino i loro componenti.
Secondo alcuni ricercatori, il fatto che il vaccino di AstraZeneca sia uguale tra le due somministrazioni potrebbe addirittura andare a danno della seconda dose, perché il sistema immunitario a quel punto ha più strumenti per contrastare l’adenovirus, impedendogli di trasportare nelle cellule le istruzioni per produrre la proteina del coronavirus. La seconda dose con un vaccino a mRNA ridurrebbe questo rischio, cogliendo comunque impreparato il sistema immunitario e inducendo una migliore reazione.
Combinare insieme vaccini diversi non è del resto una novità, anche se non sempre porta ai risultati sperati. Ormai da decenni i ricercatori provano a metterne insieme diversi per contrastare l’HIV inducendo una risposta immunitaria adeguata, ma i tentativi svolti finora si sono rivelati vani. Un vaccino promettente contro l’Ebola utilizza due diversi vaccini, così come ce ne sono contro lo pneumococco e la poliomielite che funzionano combinando soluzioni diverse.
Il Cts ha basato la propria decisione prendendo in particolare in considerazione uno studio condotto in Spagna e che ha interessato oltre 600 persone per verificare gli eventuali benefici nella combinazione di due vaccini che perseguono lo stesso obiettivo – proteggere dalla COVID-19 – ma seguendo strade diverse. Lo studio CombivacS era stato avviato in Spagna lo scorso aprile e aveva interessato 663 persone cui era stata somministrata una prima dose del vaccino di AstraZeneca. In seguito, a due terzi dei partecipanti era stato somministrato il vaccino di Pfizer-BioNTech come seconda dose. I restanti 232 partecipanti non avevano invece ricevuto una seconda dose (gruppo di controllo). A fine maggio gli organizzatori di CombivacS hanno pubblicato una versione preliminare della loro ricerca, quindi senza una revisione da parte di altri ricercatori. Nello studio segnalano che dopo la seconda dose con un vaccino diverso dalla prima i partecipanti hanno sviluppato livelli più alti di anticorpi contro il coronavirus, cosa che non è invece avvenuta nel gruppo di controllo.
Un altro studio preso in considerazione dal Cts è quello realizzato nel Regno Unito per analizzare la vaccinazione eterologa sempre con AstraZeneca e Pfizer-BioNTech. Anche in questo caso i ricercatori hanno segnalato una risposta immunitaria rilevante, invitando comunque a mantenere qualche cautela in attesa di più dati, considerato che l’analisi ha interessato appena un centinaio di partecipanti.
Occorreranno, quindi, ulteriori approfondimenti, ma sembra che la risposta immunitaria con la vaccinazione eterologa sia più marcata rispetto a quella ottenuta con due dosi di AstraZeneca. La vaccinazione omologa, cioè con lo stesso vaccino, è stata sperimentata e testata nel 2020 su decine di migliaia di individui sia nel caso di AstraZeneca sia in quello di Pfizer-BioNTech. I test clinici hanno permesso di valutare sicurezza ed efficacia in condizioni relativamente controllate e con meno variabili rispetto a quanto avviene nella comunità, dove influiscono molte altre circostanze. L’Ema ha basato le proprie autorizzazioni sui dati dei test clinici, mentre non si è espressa su soluzioni alternative come la vaccinazione eterologa decisa in Italia. Le stesse aziende produttrici dei vaccini non hanno fornito indicazioni su protocolli che mischino vaccini diversi.