Pensavo di ritornare a scrivere su Bauman più in là. I recenti avvenimenti bellici in Ucraina mi hanno spinto a rileggere Le sorgenti del male. Lo studioso con una logica stringente, con uno stile asciutto che ben rende la densità di un pensiero profondo e articolato, affronta in questo libro da un punto di vista filosofico il problema del male cercando di comprenderne razionalmente l’origine e le cause. La sua riflessione trae spunto dagli eventi storici accaduti durante la Seconda guerra mondiale ma fornisce come esempi anche indagini condotte in altri contesti, facendo emergere di volta in volta non soluzioni definitive ma la complessità della questione. Il libro si compone di un centinaio di pagine, inclusa l’introduzione di Riccardo Mazzeo, che ben inquadra l’opera nella vasta e complessa produzione del grande pensatore.

Secondo Bauman è sbagliato credere che chi compie il male sia anormale o un mostro. Le ricerche condotte in tal senso dimostrano tutte un dato allarmante: il male è spesso compiuto da persone normalissime che in determinati contesti sviluppano una propensione a compiere delle azioni malvagie. Si tratta di una verità sconvolgente che dovrebbe indurci a capire che non solo gli altri, cioè le persone che sono vicine a noi ogni giorno ma anche noi potenzialmente potremmo trovarci a fare cose che mai avremmo pensato di poter fare. Il male non è quindi un’eccezione ma una norma ed è fatto in genere da gente normale, che crede di aver compiuto dei gesti comuni della propria professione.
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Nel capitolo ‘Una vittima «collaterale»’ lo studioso, dopo aver ripreso da Arendt l’idea che il male non può essere separato dai fenomeni sociali e ridotto solo a un fatto psichico e averlo ascritto non a mostri ma a persone normali, individua un’altra causa, cioè quella dell’istinto economico, secondo il quale non è possibile non usare delle tecnologie che hanno avuto dei costi enormi. A sostegno di questa tesi dimostra nel capitolo successivo che la decisione degli americani di sganciare su Hiroshima le bombe atomiche, giustificata ex post facto (lo dimostrano documenti non più segreti analizzati da storici americani) con la necessità di accelerare la resa del Giappone, fu in realtà dettata da una motivazione economica, cioè quella di non sprecare una tecnologia che aveva avuto costi enormi (p.77):
[…] Se l’obiettivo che ci si era prefissi era stato raggiunto prima che il prodotto realizzato allo scopo avesse la possibilità di essere utilizzato, bisognava pur trovare in fretta un altro obiettivo che preservasse o restituisse alla spesa il suo «senso economico» […]
La parte più bella del libro e forse quella che con mirabile intuizione mette più a fuoco il problema del male è sicuramente quella finale, in cui la questione viene analizzata alla luce dei rapporti fra tecnica e immaginazione. Bauman si rifà alla lezione di Anders (p.87) secondo il quale ‘il potere umano di produrre è stato emancipato, negli ultimi decenni, dal potere molto meno espandibile degli umani di immaginare’. Il male quindi, in base a questa tesi non nascerebbe da licenziosità o piacere della cattiveria ma da una mancanza di immaginazione. La nostra percezione, orfana dell’immaginazione, coglie una realtà prefabbricata tecnologicamente, fatta di bottoni, tastiere, nella quale non c’è spazio per quelle persone che sono dall’altra parte e che possono essere annientate dall’atomica o dai gas velenosi (pp. 88-89):
[…] Che schiacciare un bottone avvii un apparecchio da cucina per la preparazione dei gelati, alimenti la corrente in un circuito elettrico o scateni i Cavalieri dell’Apocalisse non fa differenza. Il gesto che darà inizio all’Apocalisse non sarà diverso da uno qualunque degli altri gesti e verrà compiuto, come tutti gli altri identici gesti, da un operatore analogamente guidato dalla routine e annoiato da quella stessa routine […] Siamo tecnologicamente onnipotenti a causa di, e grazie a, l’impotenza della nostra immaginazione. […]
Che fare quindi contro il Male? Per prima cosa, sembra dirci lo studioso fra le righe, dobbiamo capire che il problema del male non può essere ridotto alla logica buoni o cattivi. Tutti potenzialmente possiamo compiere il male. La moralità riguarda quindi la questione della scelta e tutti noi siamo responsabili, e abbiamo il dovere di far capire agli altri che la tecnica, se usata male, ci rende disumani. Per dirla con le parole di Mazzeo (p.24) c’è una nuova maggioranza desensibilizzata che dispone di droni e tastiere. Può fare la guerra senza sporcarsi le mani con il nemico. Di loro dobbiamo avere paura. Ma non dobbiamo limitarci solo a questo. Dobbiamo rendere le persone consapevoli (ci permettiamo di aggiungere) che la pace non si ottiene aumentando le spese militari ma costruendo un nuovo ordine mondiale basato sul dialogo e sul rispetto reciproco.