L’alleanza tra Partito democratico e Movimento 5 stelle non ha retto alle amministrative del 12 giugno. «Sarà un test per il campo largo», ripeteva qualche giorno fa il segretario del Pd, Enrico Letta, descrivendo l’alleanza col Movimento 5 Stelle e che in teoria tiene dentro anche i principali partiti di centro. Il test c’è stato e non è andato bene, complice il tracollo dei 5 Stelle anche laddove erano previste percentuali ben più alte, vedi Palermo. Il Pd guadagna comuni, si attesta primo partito nel voto di lista ma si scopre anche più solo, con alleati in caduta libera come il M5s e la concorrenza al centro di Carlo Calenda e del suo polo riformista.
I due partiti sostenevano un candidato comune in 18 capoluoghi di provincia su 26 in cui si è andati alle urne per rinnovare il sindaco, compresi i quattro capoluoghi di regione (Genova, Palermo, l’Aquila e Catanzaro). Secondo i dati elaborati da You Trend nel totale dei Comuni con oltre 15mila abitanti la lista più votata è il Pd (17,2%), davanti a Fratelli d’Italia (10,3%), Lega (6,7) e Forza Italia (4,6). Le liste civiche di destra ottengono il 22,2%, quelle di centrosinistra il 18,7%. L’M5S raccoglie solo il 2,1%. Nei Comuni capoluogo le coalizioni di centrodestra arrivano al 46,2%, quelle di centrosinistra il 44,3%.
Questi numeri si spiegano con la fase molto delicata che sta vivendo il M5S, che dall’inizio della legislatura ha perso quasi un terzo dei parlamentari, è attraversato da fortissime tensioni fra le varie correnti e ha un capo, Giuseppe Conte, che ha scarsissimo controllo sulle sezioni locali e sui gruppi parlamentari del partito. In più sembra da tempo indeciso sulla linea politica da prendere: se vicina e compatibile con quella dei partiti progressisti, oppure più legata al Movimento delle origini, quindi populista e dichiaratamente distante sia dal centrosinistra sia dal centrodestra.
Non è bastato un accordo tra il presidente del M5s Giuseppe Conte e il segretario del Pd Enrico Letta. La lunga incompatibilità che ha diviso con toni molto aspri gli eredi del Pci e il partito di Grillo, quest’ultimo nato su basi comunicative anti-establishment a prescindere, non può essere semplicemente superata con un accordo tra i vertici delle due forze politiche. E questo non può che tradursi, come sempre accade in situazioni simili, in una sostanziale perdita di consensi, allontanando tutti quegli elettori potenziali che mal digeriscono il connubio con l’avversario di sempre. D’altro canto, se esiste ancora nel M5s un rigurgito anti-sistema, esso non è assolutamente compatibile con il partito più governativo del nostro sistema politico.
Il segretario del Pd, Enrico Letta, in una intervista alla Stampa, lo ha comunque definito «un buon risultato». Simona Malpezzi, capogruppo dem al Senato, ha tratteggiato l’orizzonte strategico che vede nell’alleanza spuria con il Movimento 5 Stelle il suo baricentro: «Per noi il campo largo è il tentativo di tenere tutti insieme nell’ambito dello schieramento di tutte le forze che si riconoscono nel centrosinistra: in alcune realtà siamo riusciti a farlo in altre no. Il Pd – ha poi aggiunto – non pone veti e prova a tenere tutti insieme. Stiamo cercando di smussare gli angoli per provare a creare quel campo valoriale capace di contrastare la destra sovranista. Solo uniti possiamo riuscirci. Il Pd si è presentato ovunque ed è il perno di un campo largo riformista e progressista».
Un risultato che comunque segna uno spartiacque in vista delle elezioni politiche che si terranno fra meno di un anno, nella primavera del 2023. La sconfitta potrebbe rafforzare chi dentro al Pd e ai partiti di centro del cosiddetto “campo largo” spinge per mollare il Movimento 5 Stelle alle politiche. Molto dipenderà anche dalla legge elettorale con cui si andrà a votare. Quella attuale, il cosiddetto Rosatellum, favorisce la formazione di coalizioni per la presenza dei collegi uninominali, in cui vince un solo candidato, che in linea generale è tanto più forte quanti più sono i partiti che lo sostengono. Se invece nei prossimi mesi venisse cambiata la legge elettorale, tutto sarebbe di nuovo in discussione: sia nel centrodestra, dove i rapporti fra i partiti alleati sono forse al minimo storico, sia fra Pd e M5s.