Dopo la sconfitta elettorale, nel Pd si apre il processo al segretario e la ricerca del successore. L’orientamento maggioritario della segretaria interna al partito, infatti, era stata chiara: con un risultato inferiore al 20%, dovrà essere necessariamente convocato un congresso. Ed così è stato fatto dal segretario Enrico Letta: «Non mi ricandiderò».
Il segretario del Partito Democratico ha annunciato che non si ricandiderà alla guida del partito, spiegando comunque di non volersi dimettere subito per tutelare l’interesse del partito e garantire una continuità nelle fasi che prepareranno il congresso con cui verrà sostituito. Commentando i risultati delle politiche in cui il Pd ha preso poco più del 19%, ha detto: «Assicurerò in spirito di servizio la guida del Pd in vista di questo congresso, a cui non mi presenterò come candidato: penso che spetti alle nuove generazioni costruire il Partito democratico del futuro».
Letta era stato eletto segretario dall’Assemblea Nazionale del partito, il suo più importante organo costitutivo, nel marzo del 2021. Dal febbraio del 2014 – dopo essere stato tre volte ministro, vicesegretario del Pd sotto Pier Luigi Bersani e poi presidente del Consiglio per poco meno di un anno, tra il 2013 e il 2014 – non era più in politica: da quando cioè Matteo Renzi lo aveva sostituito alla presidenza del Consiglio con un’operazione che sarebbe diventata tra le più raccontate e note della storia politica italiana recente, spesso associata allo «stai sereno» che Renzi (all’epoca segretario del Pd) disse a Letta poco prima di rimuoverlo.
Nel 2021 era tornato e aveva annunciato la sua candidatura alla segreteria sostenuto dai principali dirigenti del partito, da Dario Franceschini ad Andrea Orlando, e dopo le dimissioni del precedente segretario Nicola Zingaretti. Era un momento di generale e riconosciuta crisi del partito, spaccato al tempo sull’opportunità di un’alleanza stabile con il Movimento 5 Stelle e coinvolto nei delicati equilibri di un governo con la Lega e Forza Italia.
Dopo i risultati delle politiche, l’ipotesi che Letta non si sarebbe ricandidato alla guida del Pd era considerata come molto probabile. Da tempo circolano i nomi di chi potrebbe presentare la propria candidatura: il più citato è il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che sarebbe sostenuto da una rete di sindaci e amministratori locali. Si parla anche della sua vice Elly Schlein, del ministro del Lavoro Andrea Orlando e dell’ex ministro del Sud Peppe Provenzano.
Guardando all’indietro, in ogni caso, è evidente che Letta abbia fallito su tutti i fronti. Ha
sbagliato in primo luogo sul terreno delle alleanze. Razionalmente, avrebbe potuto scegliere uno fra questi due schemi: o mettere in campo una specie di Cln con dentro tutti, dai grillini fino ai centristi; oppure, scartata questa opzione, avrebbe potuto puntare su un’alleanza di segno più riformista con Matteo Renzi e Carlo Calenda. Nel primo caso, si sarebbe trattato di una accozzagli difficile per governare, ma almeno sarebbe stata una mossa elettoralmente competitiva; nel secondo, avrebbe certamente perso, ma avrebbe scelto un posizionamento post-elettorale e una piattaforma di opposizione più credibili
Letta ha anche sbagliato toni e argomenti della campagna. Per un verso, non ha funzionato la demonizzazione e la «fascistizzazione» di Giorgia Meloni: anzi, la leade di Fdi ne ha tratto perfino giovamento, mentre il Pd non ne ha ricavato alcun dividendo politico. Per altro verso, schiacciarsi su tematiche assistenzialiste (reddito di cittadinanza, salario minimo, ecc) ha portato acqua al mulino del Movimento 5 Stelle. E non erano nemmeno alleati.
Un’autentica Caporetto, una sconfitta di massa della coalizione di centrosinistra, dimostrata anche dai quasi diciotto punti percentuali di distacco dal centrodestra. Ormai, rimane solo il tramonto di una segreteria che non è mai esplosa e che, fin dall’inizio, ha dato l’idea di essere solo un tappabuchi temporaneo. Ed è probabile che chiunque succeda a Letta decida di riaprire il dialogo con i pentastellati. Giuseppe Conte, infierendo, aveva già detto negli ultimi dieci giorni di campagna che la cosa sarebbe stata impossibile «con questa segreteria dem»: in altri termini, suggerendo l’immediata sostituzione di Letta . E così il Pd si appresta a scegliere il quinto segretario nell’arco degli ultimi quattro anni.