A Luigi Fontanella e a Tre passi nel desiderio, il suo ultimo libro, devo un bel viaggio in un mondo di proiezioni oniriche. Nostalgia, intenso desiderio ma anche ironia e leggerezza caratterizzano questa raccolta di tre drammi, che nonostante il linguaggio piano, discorsivo, a volte poetico, non è affatto facile da interpretare. Un ruolo centrale in tutti e tre gli atti unici ha il sottotesto (le didascalie), che contribuisce a innescare di volta in volta la tensione drammatica delle vicende che vengono messe in scena.
Protagonisti della prima pièce Don Giovanni a New York (che forse volutamente ricalca un titolo di Vitaliano Brancati) sono Carol e John. Lei è una donna di circa 35 anni che per guadagnare dei soldi extra fa la babysitter; lui un uomo di sessantacinque anni, solo, ma che proprio per questo cerca momenti che accendino ancora in lui la passione per la vita. Per lui è una necessità, è l’unico modo per reagire, quasi in una forma rituale, a una sorta di assopimento del suo essere e della sua coscienza. Carol quando giunge nel suo appartamento crede di trovare un bambino da accudire; invece scopre con sorpresa che non è così; John le propone di fare per lui ciò che in genere fa per i bambini; le racconta la sua vita, e così dalle battute del dialogo emerge una figura dolente, solitaria, drammatica, in cerca di qualcosa di non ben definito (nelle avance che fa alla donna c’è molto di più di un puro desiderio sessuale senile) che lo induca a desiderare o meglio a vivere ancora una volta. Il suo atteggiamento però non sarà compreso della donna (fra i due c’è infatti una incomunicabilità di fondo che invano l’uomo cercherà di colmare) che vedrà nella fuga una via d’uscita a una situazione che le pare assurda e imbarazzante. Inaspettata è anche la conclusione della pièce: da un quadro appeso al muro fa l’ingresso in scena l’avo di John, forse il vero protagonista di tutto il dramma; alter ego, fantasma ma anche proiezione di qualcosa di antico, di un archetipo che condiziona la vita del personaggio principale; o forse più semplicemente emblema di un male, di un destino inesorabile che lega e regola in modo indecifrabile la vita umana oltre qualunque tentativo di controllarla e ingabbiarla in forme razionali.
Dolente è (W)ash (autolavaggio ma anche cenere), il secondo dramma che Fontanella propone ai suoi lettori: anche questa volta solitudine, mancanza, e desiderio (sono come poli e nuclei antitetici che si respingono e si attraggono) contribuiscono a creare l’atmosfera vagamente spettrale e magica della pièce. Protagonista è una donna di circa cinquant’anni, di estrazione sociale piccolo borghese. Sta per cambiare vita, c’è aria di tempesta, su New York sta per abbattersi l’uragano Wanda; si volta e vede comparire davanti a sé il fantasma del vecchio padre. Forse è la nostalgia del passato a innescare la visione, a rendere l’impossibile possibile. Da ricordare che la figura del padre e l’epos degli affetti familiari è molto presente nel Fontanella poeta, per cui non c’è da stupirsi se ritorna anche nella sua scrittura teatrale. La momentanea apparizione della figura del padre consente il miracolo dell’incontro ma marca in una sorta di opposizione emotiva e tematica ancora di più il dolore della perdita, del trascorrere inesorabile del tempo (p.45):
Emilia: (l’interrompe bruscamente) Proteggere? Ma cosa vuoi proteggere? Ancora non ti rendi conto che quello che è perso è perso… perso per sempre. Proteggere… da chi, o da cosa? Il tempo distrugge tutto. […]
Mail, l’ultima pièce, è quella fra le tre drammaturgicamente più articolata. Anche qui la situazione è onirica; protagonista è un uomo che cerca di anestetizzare la solitudine e il bisogno di relazioni umane inviando e ricevendo lettere; la parola per lui assume un valore assoluto, quasi sacro. Anche qui c’è come nel primo dramma un tentativo di abboccamento (questa volta riuscito) con una donna più giovane, quasi a voler accendere in un’ultima fiammata un desiderio ormai spento, inesorabilmente al tramonto. C’è però un elemento che differenzia questo testo da tutti gli altri ed è la conclusione: l’uomo ritrova la propria posta (simbolo delle sue relazioni) ma paga con la vita il prezzo di questa conquista. È un sacrificio necessario, un passaggio obbligato che per lui segna l’acquisizione di una maggiore consapevolezza: l’unica cosa di cui ogni uomo ha bisogno è solo di trovare un’altra persona che lo sappia capire, insomma una persona buona e niente altro (p.80). È una lezione di umanità, che Fontanella attraverso il suo personaggio dopo una lunga attività come poeta, critico, e narratore, lascia in eredità a tutti noi. A un mondo insomma sempre meno buono, accecato dalla luce spettrale della sete di denaro, dell’individualismo e della guerra.